14.46~14.47: il ricordo in un minuto

Oggi, ininterrottamente, la tv ha mandato in onda programmi dedicati al memoriale dell’11 marzo 2011. Un anniversario ancora troppo vicino per non far star male.

Prima e dopo. I passi fatti in avanti, il ricordo di quel giorno terribile.

Oggi alle 14.46 si è fermata la gente per le strade, nei cinema, nei teatri.
Si è fermato il baseball, il treno, la spesa nei supermercati.
Shinjuku si è fermata. Immobile. Nel piazzale davanti ad Alta.
Messaggi su alcuni social network intimavano al silenzio.
Shibuya ha continuato la sua vita. Affollata. Rumorosa come sempre.

Ma altrove silenzio. Occhi chiusi. Mani giunte.

Tutti intorno a me in questo paese hanno ricordi dolorosi di quei giorni. Personali e sociali. Una ferita profonda che richiede ancora tempo per rimarginarsi.

Il kanji dello scorso anno – annualmente scelto ed esposto a novembre – è stato 絆 (kizuna) che significa “legame”.

La stessa parola che ha illuminato la Torre di Tokyo ieri ed oggi.

Ryosuke ed io abbiamo aspettato quel minuto insieme.

Le 14.46 del pomeriggio, l’attimo in cui un anno fa è iniziato tutto.

Ci siamo abbracciati forte. E siamo rimasti così, in silenzio, a lungo.

Quel minuto è passato, poi un altro. E un altro ancora.

*Fotografia di @SANKEI SHINBUN e @http://matome.naver.jp

Due ragazze da non dimenticare, Arisa e Miki 3/11/11

E’ la storia di due giovani donne di venticinque anni e ventiquattro anni. 遠藤未希 Endo Miki e 三浦亜梨沙 Miura Arisa che il giorno del terribile terremoto si trovavano sul posto di lavoro, ovvero nel “Centro per la prevenzione dei disastri” della città di Minamisanriku 南三陸町. Erano compagne di classe al liceo. Si conoscevano dalle scuole medie.

Lo scorso 5 marzo sono stati infine resi noti i messaggi che la giovane Arisa ha inviato alla madre e al fidanzato prima che lo tsunami spazzasse via tutto.
Scriveva alla madre che era previsto l’arrivo di un’onda di 6 metri di altezza.

「無事ですか?!6メーターの津波きます。役場流されたらごめん」
“Stai bene? Sta arrivando uno tsunami di 6 metri. Se l’edificio verrà spazzato via, perdonami”

Ed è solo dopo un anno da quella terribile data che la madre è riuscita a leggere nuovamente quel messaggio. Quel “gomen“, quello scusa finale che le ha stretto il cuore per mesi.
Il 17 gennaio scorso il cadavere di Arisa è stato scoperto da un passante a lato di una montagna di macerie. Il numero idenficativo dell’abito che era stato confezionato a mano ha suggerito che fosse lei, la prova del DNA ha fatto il resto.


「ぜってー死ぬなよ!」
“Non devi assolutamente morire!”

「うん、死なない!!
愛してる!!」
“Sì, non morirò!!
Ti amo!!”

Questo l’ultimo scambio di email tra Arisa e il fidanzato. Lui che le ordina di non morire. Lei che promette che non lo farà. Un’ultima dichiarazione d’amore e poi, dopo pochissimo, arriva quell’onda che non fu di 6 ma di più di 10 metri.
E che spazzò via tutto l’edificio, lasciandone semi-intatto solo lo scheletro.

E in quella cittadina sono tante le testimonianze di chi ha riferito di aver sentito fino all’ultimo istante la voce di Endo Miki all’altoparlante, una voce che, fin da subito dopo il tremendo terremoto, non ha mai smesso di fornire comunicazioni sulla situazione, sull’arrivo del micidiale tsunami.

Delle cinquanta persone che erano al momento dello tsunami nell’edificio se ne sono salvate solo undici. Alcuni che si sono aggrappati alle ringhiere sul tetto, altri all’antenna che lo sovrastava.

Leggo queste notizie, leggo questi messaggi rubati al privato perchè si possano celebrare quelle persone che fino all’ultimo hanno continuato a fare il proprio lavoro.

Perche’ la parola “eroe“, che troppo spesso viene abusata o usata impropriamente, ha un significato preciso.
Ed e’ qui, in situazioni come queste, che personalmente io la trovo, invece, assolutamente appropriata. Appropriata. Esatta. Dolorosamente giusta.

* In fotografia il messaggio inviato da Arisa al fidanzato e lo scheletro dell’edificio in cui, quel giorno, si è consumata la tragedia. Fonte Sankei Shimbun e Asahi Shimbun

Tornare a casa in un giorno di pioggia

Oggi in Giappone è il giorno del corallo. Una parola così musicale in italiano, così rossa nel mio immaginario. Una parola che ha dentro il ricordo dei gioielli di bambina.

E quasi ad omaggiare questo giorno nel Kanto oggi piove. In ogni spicchio di Giappone che oggi ho attraversato, nell’ora di viaggio che mi separava da casa dei suoceri a casa mia, l’acqua cadeva. Bagnava. E profumava l’aria non di freddo ma di fresco.
Perchè sono otto gradi e si sta bene a passeggiare.

Una settimana lontana mi dona nuovi ricordi e insieme mi ribadisce la nostalgia che io ho di casa mia. E non c’è niente da fare. Perchè dalla stazione, nonostante il trolley più pesante e le strade umide di pioggia, mi viene irresistibile la voglia di percorrere la distanza a piedi. Di guardare la città, di osservare il lunedì di Kichijoji, il cielo di marzo che diviene di un grigio più cupo pian piano che si avvicina l’ora del tramonto.

La pioggia smette di cadere e, avvicinandomi al portone di casa, con i podcast di Radio Deejay nelle orecchie, annuso un buon odore di curry, immagino il riso uscire dal bollitore e mi sento – se possibile – di un gradino più felice.

Raccolgo il mare di posta, liquido lo metto sottobraccio e giro le chiavi di casa. Ed entrando apro tutte le finestre. Che la casa respiri. Che riprenda fiato.

A giorni si ripartirà ma, ci penso, è meraviglioso essere felice non solo nel partire ma anche nel tornare.

*In fotografia
(1) il quartiere di 赤坂見附 Akasakamitsuke, sulla Linea Ginza, vicino all’immensa Aoyama Doori. Dopo uno splendido pranzo con delle colleghe in un ristorante italiano ad Aoyama. Tantissima luce, stradine secondarie e la città a più strati che si intravede sul fondo tra cartelli, insegne, macchine e lampioni… (Tokyo, 24 febbraio 2012)
(2) Un dettaglio di kimono. Tre generazioni di donne. Una nonna, una madre e una bimba vestite tutte e tre, nei differenti toni delle stoffe che s’addicono all’età di chi li indossa, in kimono.
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Delle bambine, delle bambole, dei dolcini e di altre meraviglie

Quando nacque la sorella di Ryosuke, la madre di mia suocera venne nel Kanagawa dalla prefettura di Oita nel Kyushu e, insieme alla figlia, andarono ad acquistare la collezione di bambole per lo Hina Matsuri, la Festa delle Bambine che in Giappone si festeggia il 3 marzo di ogni anno.

Una tradizione tutta femminile che vuole che sia la famiglia della madre della bimba a caricarsi dell’onere dell’acquisto.

Una collezione splendida invero che spicca per il suo volume. Un angolo della casa viene ad esso dedicato e, nel nostro caso, essa è stata allestita nella stanza del tatami che, più di ogni altra, conserva un’atmosfera tipicamente giapponese.

Ieri, uscendo con carissimi amici che non incontravamo dal nostro matrimonio, abbiamo notato in pasticceria splendidi dolcetti, biscotti, torte e tortine in tema.

I giapponesi vanno pazzi per tutto ciò che è di stagione, amano gioire ed assaporare il momento, quello che sfugge via l’attimo successivo.

E il marketing segue di passo passo questa passione.

Passeggiando a lungo per Kita-Kamakura ci siamo imbattuti in una splendida giornata di sole e in un piccolo museo dedicato proprio alla festività dell’Hina Matsuri.

Oltre all’esposiziozione di bambole antichissime e più recenti vi erano tantissime 「つるし雛」 ”tsurushibina”, un altro splendido oggetto che tradizionalmente si appende ai lati dell’allestimento delle bambole dell’Hina Matsuri (3 marzo).

Si tratta di lunghe cordicelle cui sono appesi più e più oggetti di stoffa cuciti a mano, ognuno con un proprio distinto significato.
Tra i vari la “pace”, l'”abbondanza”, la “ricchezza”, la “salute” etc.

Trovo queste ultime particolarmente belle e nei negozi di artigianato tradizionale se ne trovano anche di stagionali. Frequenti sono i gattini accompagnati da piccoli oggettini di stoffa che rappresentano momiji, fiori di ciliegio, ghiande etc.

Un bel souvenir da regalare e regalarsi durante un viaggio nella terra del Sol Levante e da appendere, una volta tornati a casa, in qualunque luogo si voglia della propria abitazione.

(to be continued…)