KINTSUGI 金継ぎ o del guadagnare imperfezione

“[…] perchè scrivo questo libro? Perché lo riconosco imperfetto. Sognato sarebbe la perfezione; scritto guadagna imperfezione; per questo lo scrivo
Fernando Pessoa, ‘Il libro dell’inquietudine’

 

  Guadagnare imperfezione: non c’è abbinamento di verbo e complemento più riuscito.

DSC00152Di fronte all’ossessione del perfetto, del giusto a tutti i costi – anche a quello di buttar via tutto, quando qualcosa non va esattamente come speravamo –, risulta così difficile accettare ciò che non lo è, valorizzare le cicatrici che ci portiamo addosso e che, volenti o nolenti, ci ricordano chi siamo.
È perchè il dopo fa paura, si sente la vergogna del difetto, la ferita viva che si teme attirerà tutti gli sguardi, la disapprovazione comune, sopracciglia danzanti in un walzer di ilarità, disprezzo, pietà. Eppure gli unici occhi che ci guardano così, con quella severità che non perdona nulla di imperfetto, sono quelli dello specchio. Sono i nostri.

   Per non vergognarsi di una cicatrice, di un difetto, per cambiare un poco l’umore del giudizio su noi stessi, cosa si può fare? Come affrontare il fallimento, le cadute?
Ed ecco che la risposta te la ispira un oggetto, una ciotola posata in casa d’un amico, lì con il suo immobile incedere all’ingresso, esibito nel primo luogo in cui si gioca l’accoglienza, come spesso accade con le composizioni d’ikebana nelle case giapponesi.

DSC00130Una regola non scritta dice che si ama ciò che fu. Eppure raramente ci si innamora di ciò che fu sbagliato… oppure no?

 Esiste in Giappone un’arte che fa dell’errore un’opportunità, della fine un inizio. Dell’irreparabile, bellezza. È 「金継ぎ」 /kintsugi/, l’oro 「金」 /kin/ che si fa colare nelle 「継ぎ目」 /tsugime/ saldature di un oggetto di ceramica che ha subito un qualche incidente.

  È una ciotola che cade, si frantuma e mostra così la natura parziale di tutte le cose, che spiega come in verità il mondo sia fatto di pezzi, grandi o piccoli, e come stia a noi ricompattarli nel modo più indolore. Sono stoviglie spaccate, sbreccate, rinsaldate con la lacca e i cui punti di rottura vengono riempiti e decorati con l’oro, l’argento, con l’oro bianco.
  Kintsugi è una tecnica nata in Giappone e, nella stessa definizione del termine, si racconta in questa lingua l’attesa trepidante e gioiosa nel vedere cosa verrà fuori dalla riparazione. La felicità rappresa nell’errore.

  a0212807_15302379La storia racconta come lo shogun Ashikaga Yoshimasa del periodo Muromachi inviò una ciotola che si era incrinata, in Cina, con la preghiera che venisse sostituita con una nuova.
Gli fu risposto che un oggetto di quella fattura e qualità non veniva più prodotto. La ciotola venne pertanto rinsaldata con guarnizioni metalliche (鉄の鎹) che, invece di nascondere, evidenziavano brutalmente il danno. Lo shogun, insoddisfatto, disse che l’effetto estetico di quel tipo di riparazione assomigliava al salto di una cavalletta posata sul dorso di un cavallo, soprannominandolo 「馬蝗絆」/bakouhan/, espressione che contiene, appunto, i kanji di cavallo 「馬」, cavalletta 「蝗」 e legame 「絆」.

Nello stesso periodo storico gli artigiani giapponesi svilupparono, invece, la tecnica del 「金継ぎ」 /kintsugi/ che si basa piuttosto sull’accettazione della nuova forma assunta dall’oggetto incrinato cui donare una nuova vita, un nuovo aspetto altrettanto impregnato di bellezza. Lo si chiama 「景色」 /keshiki/ ovvero paesaggio perchè, davvero, esteticamente qualcosa muta come nello spettacolo della natura.

 無題「雪峯」 /seppou/ è, ad esempio, il nome di un’opera del periodo Edo che nei kanji ha la neve e il crinale d’una montagna. Questa ciotola, un tempo incrinata, è divenuta con il kintsugi  un’opera di immenso valore, una coppia di kanji in cui la meraviglia del paesaggio mutato è qui neve che si scioglie e si tramuta nel corso di un fiume che scava la montagna.
E, sorprendentemente, l’oggetto che era “da buttare” diviene persino più costoso di quanto non fosse prima dell’incidente.

  Riempire d’oro le ferite, farne pezzi unici, fregiarsi di ciò che ci distingue, delle rughe su un volto, degli squarci che si aprono naturalmente nella vita come recita un proverbio giapponese:
「人生にぽっかり開いた穴からこれまで見えなかったものが見えてくる」 , “Dagli squarci che si aprono nella vita si riescono a vedere cose fino ad allora nascoste”.

  Cadere è parte del viaggio, fa parte del camminare di ognuno di noi. Aver dimenticato come è accaduto che siamo diventati grandi, come è successo che abbiamo imparato a mangiare da soli, ad impugnare un coltello e una forchetta, due bacchette, ad amare una persona, a renderla migliore, a cercare nel mondo una via tutta nostra, non signiifca che non sia accaduto veramente, che non sia passato tempo e tanti sbagli prima di riuscire.

DSC00138 Guardo mia nipote, che piange per un taglio che si è fatta sul dito con le stelle filanti, al cerotto di Rilakkuma che sceglie con grande serietà, già pregustando la storia che per giorni avrà da raccontare all’asilo, al padre la sera quando dal lavoro tornerà, e penso che i ricordi sono l’unica cosa preziosa in questa vita e che non sempre sono originati dalla gioia.

  E poi mi ripeto ancora una volta e un’altra ancora, con una convinzione che non è figlia dell’inevitabilità, dei giudizi formulati a posteriori con le conseguenze bene in vista, che forse sono sopravvissuta ai quindici, sedici e poi ai vent’anni, ad una adolescenza emotivamente burrascosa, a grandi mancanze familiari e a una sensibilità che ho faticato a lungo a trasformare, che sono riuscita a riempire d’oro tutte queste profonde cicatrici ed esse ora brillano fino ad abbagliare, tanto che sono diventate negli anni la parte migliore di me.

DSC00124 Ricordo i pattini da bambina, nella casa in montagna con mia sorella, i tagli sulle ginocchia, le sbucciature, la pelle arricciata ai bordi di ferite che sembravano enormi. E poi l’acqua ossigenata nel bagnetto e le lacrime non sempre trattenute eroicamente, i pianti veri e propri, i ragni sul soffitto che guardavano in giù. Ma poi di nuovo sui pattini, a girare per il paesino di montagna, con una felicità che ricordo limpida ancora oggi.

  Di maggior valore sono proprio quei segni che significano equilibrio tra le parti, tutte staccate eppure riunite dalla bellezza di una scelta: quella di non buttare via tutto, ma di mettersi con pazienza a riattaccare i pezzi, a farne qualcosa di nuovo e ad accentarne il cambiamento.
DSC00184 piccolaÈ un concetto profondamente radicato nel pensiero giapponese e le cui numerosissime sfumature ne scoraggiano una definizione sommaria e riassuntiva. È il wabi-sabi, l’imperfezione che valorizza, che rende un oggetto di ceramica unico nel mondo, è l’accettazione del misterioso e continuo cambiamento delle cose, il giusto distacco che permette alla realtà di sopravvivere nel mutamento oltre di noi, oltre le necessità del  presente.

 Buttare oro sulle ferite, snocciolare brillanti negli squarci, bellezza in fondo in fondo ai tagli procurati dalla vita. Goccia a goccia fino a rendere al tatto il passaggio lieve. Nello stacco è il senso del ricordo, nello spaccarsi in fronte a noi.

 E rendere così meno doloroso anche l’inevitabile atto del cadere, del farsi male e dell’incrinarsi. Questa cosa insegna come l’irreparabile non ci sia e che esista compensazione anche per ciò che crediamo incompensabile.

  Che questa ispirazione mi doni una ulteriore disinvoltura con cui camminare a testa alta, con cui procedere da oggi in poi sulla via d’ogni fallimento che di sicuro arriverà.

♪  Chiara, Il rimedio la vita e la cura