shinjuku

Del monte Takao, del tifone e del blu delle montagne

Una montagna dentro Tokyo? Sei sicura?
Ebbene sì, dentro alla metropoli giapponese sorge un monte.
Un’iniezione di natura a un’oretta di treno da Shinjuku per i momenti in cui si ha bisogno di riprendere il contatto con il verde, con le viste panoramiche che non siano solo il risultato di piani e piani di cemento, con quell’aria freschissima che abbraccia luoghi in cui macchine e bus non possono passare.

Me ne avevano parlato alcune studentesse. Loro consigliavano l’autunno ma, da quando siamo tornati a Tokyo dopo un mese pieno di italica vacanza, mi si e’ appiccicata addosso una gran voglia di viaggiare.
Piccole gite che non ci separino per troppo tempo dalla Gigia, nuove esperienze di noi e di Giappone che si trasformino in ricordi.
Quest’anno ne voglio collezionare vari, da attorcigliare intorno al collo o da serrare intorno al polso come collane. Come braccialetti.

La funivia ci ha accompagnato su, fino a metà del percorso. Le nostre quadruplici astuzie (nostre e di due nuovi simpaticissimi amici ❤) non sono servite ad ottenere i posti migliori. Poco importa. La funivia, che vanta di essere la più ripida del Giappone, ha in effetti dimostrato – soprattutto nel tratto finale – di essere in grado di far scivolare di un poco le persone dai sedili.

Poi a piedi lungo un sentiero biforcuto. Templi, piccoli ristorantini a tema “Tengu“, divinità della tradizione giapponese caratterizzata da un faccione rosso e da un lunghissimo naso prominente. Tanta gente, nonnine e nonnini agguerritissimi, famiglia con bambini, coppiette e gruppi di amici.

Qui e là il sentiero portava i segni del passato tifone. Rami, anche di notevole cilindro, che giacevano spezzati al lato, una lanterna e una barriera di ferro schiacciate dal peso di un albero stradicato, un tronco spezzato che diviene arco sul sentiero.

Anche la strada in discesa, piuttosto ripida, era colma di piccole ostruzioni. Il tifone, quest’anno, ha investito in pieno il Giappone, ha creato disagi, ha spezzato centinaia di ombrelli ed ha sradicato moltissimi alberi.

La vista dal monte Takao è meravigliosa. Boschi, piccoli agglomerati urbani e poi una Tokyo che sembra guardarsi allo specchio da lontano. Montagne che, viste nell’obiettivo zoommato della macchina fotografica, sembrano avvolte dalla foschia. E, soprattutto, sembrano blu.

Una gita consigliata a chiunque abbia una mezza giornata da spendere nel verde e a chi, soprattutto, pensa che Tokyo sia solo cemento e grattacieli.

*In fotografia un cimitero giapponese dalla banchina della stazione di Takao, i “kushi-dango” al sesamo (specialità abbrustolita alla brace), una delle ferite provocate dal tifone ed, infine, il blu delle montagne.

"Setsuden" alla tokyota. Dei risparmi energetici e dell’estate giapponese

Quest’anno a Tokyo fa più caldo.
Le riduzioni energetiche pianificate 節電 (setsuden), decise in seguito all’incidente della centrale di Fukushima, si avvertono. Non tantissimo invero ma un po’ sì.

I calendari accademici sono mutati. I giorni lavorativi di Ryosuke sono anch’essi cambiati e ridisegnano le nostre settimane. Il sabato o la domenica si lavora e si destina magari a un lunedì o a un mercoledì il canonico riposo.

Nelle aule universitarie l’aria condizionata è centellinata e vedo sbattere うちわ (uchiwadavanti ai volti dei ragazzi.
Gli esami di fine semestre si avvicinano, i preparativi urgono e vedo gli studenti sempre più emozionati.
Si tirano le somme di quel che si è imparato e, nonostante la fatica, la soddisfazione di poter parlare una lingua così distante dalla propria in buona parte li ripaga.

Inoltre, sempre per il 節電 (setsuden) nei treni la luce, in vari tratti del percorso, viene spenta durante le ore diurne e capita che, nel leggere un libro, lo sguardo s’interrompa per il sopraggiungere di un tunnel. Un piccolo sussulto.

Una lampadina che dal poster o dall’adesivo che la incornicia nelle stazioni e a bordo dei treni (cfr. foto) fa una faccia difficile da interpretare. Sta dormendo? Sta sopportando? Si sta riposando? Dove non necessari i macchinari – come ad esempio nelle toilettes il suo getto d’aria che asciuga le mani, o l’illuminazione esasperata dei distributori di bevande nelle strade – sono spenti.
Chi non era qui una anno fa forse neppure se ne accorge.

Ed altre piccole accortezze legate all’illuminazione e al consumo di aria condizionata che danno la misura di una collaborazione collettiva. Anche il vestiario un po’ muta e ci si spoglia più del solito.

Tokyo, per sua stessa natura, è un po’ sprecona ed egoista.
E anche se Tokyo non è il Giappone – che di certo non ha bisogno di tutti questi minuti vizi da soddisfare – credo che ce la stia mettendo tutta.
Anzi. Proprio perchè è figlia unica e viziata credo faccia più fatica delle altre città ad adeguarsi al profilo “basso” che l’urgenza le richiede.

*In foto Shinjuku. Un incrocio pieno di luce. Poi il poster del setsuden nella stazione di Kichijoji e ancora Shinjuku, le vetrine di Uniqlo all’uscita ovest della stazione.

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Ultimamente le parole costano fatica. Il romanzo le assorbe tutte, una ad una. Il lavoro, invece, me le trasforma in frasi da insegnare, in cultura da spiegare e le pareti dell’università mi restituiscono progressi e risate. L’articolo che sto scrivendo, a sua volta, me le rende più severe con se stesse perchè per parlare agli altri bisogna spogliarsi un po’ di sè.

Ultimamente, quindi, scatto foto. E facebook più del blog perchè, con questo mucchio di cose da fare, sa rubarmi tempo con più facilità e con piu’ leggerezza.

L’estate tokyota si è immersa nel frattempo nel suo usuale bagno di umidita’ e il sole bacia mani, spalle e volto in bicicletta. Senza volerlo cambio di colore e sogno un parasole tutto mio da comprare un giorno o l’altro.

Ultimamente
c’è sempre una pila alta di libri che mi aspetta a letto e la giornata sembra durare meno. Quindi offro foto. Foto per tutti. Foto di Tokyo. Foto e didascalie che ho postato in questi giorni sulla pagina facebook Giappone Mon Amour.
In attesa di più tempo…

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A volte le fotografie migliori sono quelle sbagliate. Quelle in cui capita qualcosa che non ti aspettavi. Come una macchina che entra all’improvviso nell’obiettivo mentre stavi osservando tutt’altro. Un gruppetto di liceali, magari. Cosi’ vien fuori il blu della macchina e quello delle divise delle ragazzine. E me ne sono innamorata. Di quel blu ☆

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Venerdì, davanti alla stazione e a un passo dall’ingresso del campus.
Sole e tanta luce.
Una studentessa che aspetta l’autobus.
Alle sue spalle i tabelloni della “metro” JR di Tokyo e un ragazzo in bicicletta.

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Un vecchissimo albero “ginko”, giochi di luce e una casa enorme che decade ma non cade. Kichijoji, qualche giorno fa.

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Un attraversamento pedonale. Solo dopo, riguardando la foto, mi sono accorta di una ragazzetta vestita in modo particolare, sul rosa, e con una cuffietta in testa. Tanti colori, accostamenti di volti+insegne+metallo come solo a Tokyo ce ne possono essere. Qualche secondo e scatterà il verde.

Video di Shibuya e Shinjuku… notare l’esodo di massa o_O

Stazione di Shinjuku, arrivo e partenza della Yamanote.

Strisce pedonali di Shibuya da una diversa prospettiva.

L’incrocio di notte, prima i mezzi (notare che si tratta prettamente di mezzi pubblici e taxi per evitare il consumo di benzina e i maxi schermi spenti).

 

Mitaka →Shinjuku →Shibuya →Kichijoji

La telecamera in borsa, quella che ci ha regalato il padre di Ryosuke per il matrimonio e che abbiamo usato durante l’atipico mini-viaggio di nozze a Kyoto e Nara con tutte e due le nostre famiglie. E’ la stessa telecamera di cui una studentessa, mentre filmavo l’esame orale del secondo semestre, mi ha detto di conoscere tutte le caratteristiche. Era per farmi sapere qual era il suo lavoro part-time, per sciogliere l’ansia della prova e per chiacchierare con la sensei un’ultima volta prima della laurea.

Oggi l’ho utilizzata per uno scopo assai diverso. Sono andata a Shinjuku e ho ripreso l’uscita sud, al di qua dei tornelli, la Yamanote su cui poi sono salita, la stazione di Shibuya, le scrisce pedonali, alcune strade del quartiere.
La nebbia copriva la chioma dei grattacieli, quasi rendendoli canuti. Dalla Chuo osservavo la loro cima ovattata e nell’uscire dal treno ho avvertito il biancore diffuso dell’aria che, nel freddo, acquista una sua consistenza. E’ il profilo deciso della stazione, l’andirivieni di gente ed ombrelli, la precisione del passo che si dirige verso una delle sei uscite della metro o verso un’altra banchina per il cambio del treno. Lo stesso paesaggio che osservo quando il mercoledì e il venerdì vado a Mejiro e cambio a Shinjuku per la Yamanote in direzione Ueno.

L’unico sentimento nuovo, di stranezza, è quello legato alle mie azioni l’iwakan (違和感) come si direbbe in giapponese. La telecamera in mano, la borsa ai piedi e il cellulare in tasca, in attesa che Ryosuke mi richiami dal lavoro. Avverto un forte imbarazzo. So che l’obiettivo può infastidire, che ad alcuni annoia l’idea di divenire parte di un video che non guarderanno mai. Ma tant’è. La documentazione deve essere accurata.

Riprendo la Yamanote e arrivo a Shibuya. Frotte d’ombrelli si riversano sulle stresce pedonali, un cameraman straniero riprende le mura della stazione e con un filo di cinismo mi chiedo se abbia avuto il coraggio di filmare anche la quantità di gente che procede da un lato all’altro della piazza. E’ identica Shibuya e mi scoccia dirlo. Perchè ho sempre sostenuto che di Tokyo ciò che spicca è proprio il mutamento. Dei negozi, delle mode, del linguaggio, della gente. Ma a chi la vorrebbe sepolta sotto le ceneri di una disgrazia presente ma geograficamente distante io rispondo con video silenziosi e fotografie che narrino quanto le parole non sono in grado di fare.
Starbucks, quello che dà sulla piazza, era troppo pieno di gente e così sono andata verso il caffè Excelsior per un pranzo tardo. Tutto pieno anche lì. L’esodo, evidentemente, non ha colpito la città come narrano i bugiardi! >.