Oggi che giorno è in Giappone? 12/6

Oggi in Giappone è il giorno delle sorelle maggiori
「姉の日」
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Questo giorno segue a quello del 6 marzo (6/3) destinato al festeggiamento del fratello minore, al 6 luglio (6/6) dedicato al fratello maggiore e a quello in onore, invece, delle sorelle minori del 6 settembre (6/9).

Un giorno dedicato a chi, nell’immaginario della cultura giapponese, si occupa dei fratelli, e avverte maggiori responsabilita’ nei confronti della famiglia. Il primogenito/la primogenita infatti è considerato/a chi fa le veci dei genitori in loro assenza, punto di riferimento per i fratelli più piccoli che aiuta e consiglia.

Personalmente questo giorno lo dedico a mia sorella Giulia, una donna verso cui provo infinita stima e che sta per diventare mamma. Auguri sorellona! ❤

Credits dell’immagine qui

L’importanza del dialetto  NHK教育

Un breve programma sulla televisione nazionale NHK dedicato alle espressioni dialettali. Una piccola scoperta mattutina. Resto sempre affascinata dalla varietà d’offerta dei canali della televisione pubblica (mai interrotti da inserzioni commerciali o da spot pubblicitari), dall’attenzione che mostrano nei confronti dell’educazione nel senso più ampio del termine. E così, imbattutami in 「言い違いすれ違い」, ho subito annotato il titolo per poterne sapere di più.

Il concetto è semplice: 10 minuti alla settimana dedicati ad un’espressione, inesprimibile nel giapponese standard, del dialetto di una zona sempre diversa del paese del Sol Levante.
Non è una bellissima idea?

Momenti di sconforto seguono o precedono – a seconda dei giorni e delle ore – quelli dedicati all’ottimismo. Quando pensavo d’essermene infine liberata ecco che l’ansia dell’esame è tornata a visitarmi, cogliendomi come sempre impreparata. Eppure essa è necessaria. Lo stress, l’agitazione – se dosati con perizia – aiutano a focalizzarsi sull’obiettivo, rivoluzionano in meglio l’ordine delle priorità.

Scopro sempre più quanto il periodare in giapponese non sia affatto inferiore per complessità al nostro italiano. Frasi lunghe e arrotolate intorno a un’idea che, nel trasbordare di sinonimi, sembra evadere dal ring.

Insistere. Non c’è altro da fare.
がんばります!

元気だして~
∧_∧
(*´ω`)∧∧l|l
/⌒,つ⌒ヽ )
(  (  _)
‘`’`””‘`’`””‘`’`””

*In foto, alcune costruzioni sul Kanda-gawa viste dalla ferrovia della stazione di Ochanomizu.

Il nuovo lavoro e il gatto del tempio.

Un gatto al posto di un bonzo nel cabinotto che, all’entrata del tempio, è solitamente dedicato alla vendita di oggettini, お守り, libretti, collane etc.

Il cabinotto era chiuso e un gatto bianco sorvegliava dall’interno il traffico (pressochè nullo) di persone che entravano nel recinto del tempio. Una foto scattata un mese fa, il 3 novembre, nel Giorno della Cultura – che era anche il nostro anniversario di nozze – ad Oshiage.
E’ nella foto accanto, lo vedete? Un raro colpo d’occhio che ringrazio.

Una notizia bella e una fastidiosa. Un nuovo entusiasmante lavoro per Ryosuke – che sempre mi stupisce per la sua eccezionale versalità – e un brutto raffreddore per me. Della seconda non mi curo (o meglio, lo faccio standomene a letto) e della prima gioisco.

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E’ davvero interessante osservare il mondo del lavoro giapponese dal punto privilegiato della “moglie”. La documentazione, i colloqui. Ed ammiro l’esser trasparente del mio 8 (otto, , in giapponese significa “marito”) che ha cercato – e trovato – un impiego che per contratto non ha straordinari. E nei colloqui, con sincerità, spiega che l’equilibrio familiare per lui è la prima cosa e che un lavoro che lo tenga oltre l’orario stabilito in ufficio non fa per lui.

Ed io, inutilmente, spero che un po’ di quella sana intelligenza contagi pure me. Che non mi passi solo il gusto per certi cibi o bevande che una volta neppure mi sognavo di assaggiare, ma che mi siano trasmesse anche disposizioni mentali, serenità interiori a me spesso ignote.

Il lavoro sarà a Yokohama. Ryosuke, che nella regione del Kanagawa è nato e vissuto fino agli anni dell’università e che ha fatto il liceo proprio a Yokohama, ne è entusiasta.
La conosco poco, ma già non vedo l’ora di farci qualche capatina armata di macchinetta fotografica… ❤

(nella seconda fotografia un pochino di Natale nel quartiere)

Dell’essere italiani in Giappone. Un pomeriggio ed una sera a Tokyo.

L’odore intensissimo di miele, zucchero che cuoce e caramello. Giù dal basso, al primo piano del caffè francese dove studiare sembra quasi un privilegio, proviene la fragranza di dolci in divenire e la concentrazione – ben distinta dalla fame – sgocciola via. Fuori piove. No, ha piovuto. Ha minacciato duramente la mattina ma poi nel pomeriggio, per farsi perdonare i suoi eccessi, ha allungato solo nuvole nel palmo.

I momiji si sono fatti rossi, arancio. Nelle gradazioni intermedie che scivoleranno presto verso il rosso. Quello intenso e squillante. Quello che ferma le pupille e non le lascia andare oltre.
Tornando in bicicletta sono passata accanto a frotte chiassose di studenti, l’università chiude le porte e loro si riversano in strada, verso la stazione di Kichijoji.

Il Giappone che parla solo giapponese. Il Giappone che ha chiara, fissa a mente la regola del vivere civile. Il Giappone che è tanti – distinti – giapponesi.

Se ne parlava sere fa ad una cena dell’università. Un ricercatore spiegava quanto irritante fosse per lui quando un collega più giovane gli si rivolgeva in modo informale (タメ語) mentre invece, parlando con suoi coetanei di nazionalità però giapponese, quello stesso ragazzo lo faceva utilizzando nei loro confronti il linguaggio formale (丁寧語).

“Perchè loro sì ed io no? Perchè sono straniero? Voglio essere trattato allo stesso modo. Se mi trovo all’interno di un gruppo, in un ambiente governato da regole precise come quello accademico, voglio essere trattato allo stesso modo”, ribadiva con forza. E al giovane giapponese aveva fatto notare stizzito la differenza di comportamento rivelata dall’uso del linguaggio.

Un ragionamento che non fa una piega.

Se non fosse che se di tanti – distinti – giapponesi è fatto il Giappone anche di tanti – differenti – italiani è fatta l’Italia. E per me è una gioia quando le persone mi si rivolgono in modo informale. Abbiamo convenuto che quella differenza non connota “disprezzo” nei confronti dello straniero ma semplice, genuina “differenziazione”. Ed io SONO diversa. E lo sarò sempre anche se finirò per invecchiarci e morirci in questo paese.

Il fatto che alcuni (non tutti) i giapponesi si rapportino a me senza dover necessariamente inquadrarmi nel loro sistema sociale – che fa sì che debbano rivolgersi a me con più gentilezza perchè più anziana anche di un solo anno – mi rilassa e mi dà la sensazione che questo renda più distesi anche loro.
Ricordo ancora quando pregai Ryosuke di dismettere gli abiti “formali” del ~desu ~masu perche’ li avvertivo come una sorta di distanza.

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Ed io amo essere italiana in Giappone. E l’informalità (che nulla ha della mancanza di rispetto o del prendersi eccessive confidenze) la percepisco come un premio.

Qualunque sia il proprio sentire, comunque, è bene comunicarlo all’altro.
Delle differenze – non necessariamente incasellabili nel bello e nel brutto, nel giusto e nello sbagliato – si nutre questo mondo.

* In foto un tempio (pensando al Capodanno che si avvicina) e due scatti autunnali del quartiere.