La forma del dolore o del "kijō"

Ci si svela sempre. Lo fa per noi la capigliatura arruffata, la linea a volte netta sotto agli occhi, il sopracciglio che s’arcua e si distende, il labbro superiore che s’arriccia, l’occhio che s’accende e poi si spegne quasi fosse animato da interruttore e da corrente, l’acqua si fa spazio tra le ciglia, le narici che si divaricano forte per inspirare più aria, più vita.

  Il dolore ha una forma, esattamente come la possiede una bottiglia di uroncha, il tavolo in soggiorno, una confezione di formaggio, un catalogo d’arte. E come questi oggetti, tutti in fila e sull’attenti, anche la forma del dolore può mutare. S’adatta come l’acqua alla forma che l’accoglie. Ne acquista il volume e il peso.
È, nel caso del dolore, anche una questione di cultura. Perchè vi sono popoli per cui esso va dimostrato, i capelli vanno strappati, le vesti lacerate, la gola straziata dalle urla, gli occhi imbevuti di lacrime sincere.
E poi c’è il Giappone che il dolore non lo rifugge ma lo contiene.

  In giapponese si dice che più qualcuno si mostra forte, maggiore è la compassione che merita”.
Perchè chi si mostra forte di fronte a un grande dolore non è insensibile agli eventi ma sta soffrendo profondamente solo che, per non straziare chi sta vivendo il medesimo dramma, sta trattenendo la sua disperazione.
È il concetto del kijō 気丈: il ki che ha dentro lo spirito, l’indole, l’animo, il sentimento e il che è la lunghezza delle cose e della vita e insieme anche la forza, la solidità espresse in una parola come ganjō 頑丈o che, nell’aggettivo jōbu-na 丈夫な, indica la resistenza, la robustezza di qualcosa o di qualcuno.

Il concetto del kijō 気丈esprime il mostrarsi forti, il non cedere mai completamente alla disperazione. I giapponesi sono portati a non mostrare i propri sentimenti non certo per una mancanza di emozione ma perchè la cultura insegna a mettere davanti a sè l’altro, a non far prevaricare il proprio dolore su quello altrui. Perchè in una situazione di disperazione collettiva il dolore di uno deve essere comunque rispettoso del dolore di tutti gli altri.

  Così è stato nel marzo 2011, in un Giappone ferito e straziato, dal quale arrivavano immagini che stupivano gli stranieri che, per l’occasione, ripetevano la parola “compostezza”. Era il kijō: la sofferenza che era e resta enorme ma che i giapponesi non mostreranno mai in modo clamoroso.
Tra quelle migliaia di sopravvissuti c’era chi aveva perso una madre, un padre, un figlio, un fratello o una sorella, il cane o il gatto, chi la propria casa, chi gli amici più cari, chi aveva visto sfumare i sogni di una vita, il proprio lavoro. Il dolore di uno vale tanto quello degli altri. Non c’è chi piange più forte, chi raccoglie maggiore cordoglio. Tutti si sostengono gli uni con gli altri e cercano di andare avanti.

  Ho sempre pensato che il dolore, le lacrime siano cosa delicatissima. Come un dito infilato in un carillon. Ci vuole poco per fermare la musica e la danza della ballerina col tutù che volteggia sempre più lentamente al centro della scatoletta. Perchè quando tu, solo tu piangi per qualcosa che è accaduto a te, a te sola e l’altro nell’ascoltarti piange, persino più forte, con singhiozzi e parole strascicate, allora ti fermi.

  La com-passione si fa furto. Le lacrime non sono più tue. Non riescono più a uscire e ti trovi paradossalmente a dover consolare l’altro. Il dolore che era cosa tua diventa altrui e lo spazio di espressione è ormai preso.

  Penso poi che è curioso che in questo abbinamento di kanji, di ki e di – che viene dopo altri due in ordine di scelta sul dizionario e sul software di word – , ci siano parti di due delle espressioni più comuni in questa lingua.
E’ il ki di genki 元気, che significa “stai bene, come stai?” coniugato ad ogni persona ( l’io, il tu, il lui e il lei, il noi, il voi e il loro) e il che è anche di daijōbu 大丈夫, parola che si ripete nel quotidiano come un mantra “va tutto bene? va tutto bene! va tutto bene, vedrai”.

Sì, andrà sempre tutto bene.

39 commenti su “La forma del dolore o del "kijō"

  1. alessia ha detto:

    L’idea di dolore privato credo di preferirla anch’io, macapisco che a volte le lacrime siano “fuori controllo”…
    Però a questa cosa del furto mica ci avevo pensato…in effetti he he come diceva Troisi (in Pensavo fosse amore e invece era un calesse)l’altro ci distrae, non ci fa soffrire bene 😉

    PS il genki lo conoscevo, mi mancava invece daijobu che presto diventerà anche il mio nuovo mantra 🙂

    1. Giappone Mon Amour ha detto:

      Infatti, le capisco anch’io che non sempre mi controllo. Ma io sono italiana e “viva la diversita’”.
      Troisi ♥

  2. Marta Salvini ha detto:

    Sarei curiosa di sentire qualche psicologo giapponese al riguardo.. Secoli e secoli di studi dimostrano che il dolore va estrapolato, va sfogato, va condiviso. Come mai non parli mai del fatto che in questo paese tanto amato c’è il più alto tasso di suicidi al mondo?
    Ovviamente, il mio commento non sarà pubblicato, ma ci tenevo a farlo leggere a te, per avere un pò più di obiettività.
    Marta

    1. Giappone Mon Amour ha detto:

      La tua curiosita’ andrebbe assolutamente soddisfatta. Consiglio sempre di informarsi, di leggere libri, di studiare.Fai qualche ricerca bibliografica!

      Perche’ dei suicidi non ne scrivi tu? Sembri molto piu’ interessata di me all’argomento 🙂

    2. Anna Cesi ha detto:

      mamma mia tutti che vengono a fare i maestri di vita su cosa scrivere e cosa no. ma l’avete letto il titolo del blog????????? giappone MON AMOUR. chi vuole leggere dei suicidi andasse altrove. laura vai avanti così e ignora queste persone fastidiose.io adoroooooooooooooooooooooooo il tuo blog

    3. Marta Salvini ha detto:

      Da psicologa, ti garantisco che le mie ricerche bibliografiche le ho fatte, e quindi ribadisco il concetto da me espresso nel commento precedente.
      Non ho ovviamente intenzione nè interesse a parlare di suicidi in questo contesto, vorrei soltanto che le cose fossero dette per quello che sono. Ossia: va bene il contegno, va bene rispettare il dolore altrui, ma le lacrime, lo sfogo, sono elementi FONDAMENTALI per qualsiasi essere umano (cosa diversa è la cultura di cui tu parli). Di conseguenza, è ovvio che questa mancata espressione del dolore porti a scompensi molto gravi nel resto della personalità.
      Cosa che da te, mi pare di capire, non viene presa in considerazione. Se poi mi sono persa qualche passaggio, lieta di ricredermi.
      Non voglio fare la maestra di vita di nessuno, ma se non è possibile neanche esprimere un parere contrario in modo educato e rispettoso, allora non è questo il posto adatto a me. Grazie per aver tenuto il commento in cui mi si dà della “fastidiosa”.. significa, ai miei occhi, che appoggi il suddetto commento, e forse questa cosa dà la risposta a quanto mi/ti chiedo sopra.
      Marta.

    4. Giappone Mon Amour ha detto:

      Gentile Marta, premettendo innanzitutto il fatto che – come ho piu’ volte ribadito sul blog – non sono io a occuparmi della moderazione dei commenti, potrei portarti l’esempio di persone che conosco personalmente – psicoterapeuti con piu’ specializzazioni – che mai si sognerebbero di andare a diffondere il verbo su BLOG il cui termine e’ per sua stessa definizione legato al concetto di “opinione” e di “privato”. Per questo trovo paradossale il tuo volermi insegnare “un po’ di obiettivita’”.

      Il blog, come ho ripetuto piu’ volte fino alla nausea, non e’ tenuto ad insegnare nulla ne’ a “istruire le masse”. Questa e’ la mia vita, nessuno intorno a me si suicida, esattamente per quale ragione dovrei costruirne su disserzioni?

      Su una cosa pero’ mi sento di darti completamente ragione, ovvero sul fatto che questo non sia il posto adatto a te. La motivazione e’ molto semplice, banale persino: qui si tende a non dar spazio alle polemiche inutili. Sono certa che chi legge questo blog ed ha interesse ad approfondire la tematica dei suicidi (usata dai detrattori di questo paese, insieme al discorso “delfini e balene”, quasi si trattasse di un tratto somatico dei giapponesi) avra’ certamente decine di siti, di libri cui far riferimento.

      Scrivo e sempre scrivero’ di cio’ che ritengo interessante e piacevole come il titolo del blog del resto suggerisce.

      Onde evitare di farti perdere altro tempo prezioso evitero’ di rispondere ad ulteriori commenti che tendano ad alimentare la polemica. Sono certa tu sia un’ottima psicologa e un’ottima persona e ti auguro il meglio.

      Un saluto e buon lavoro, L.

    5. Anna Cesi ha detto:

      ma non aveva scritto lei “Sarei curiosa di sentire qualche psicologo giapponese al riguardo”? e poi “Da psicologa, ti garantisco che le mie ricerche bibliografiche le ho fatte”….???? cioè se le hai già fatte che curiosità hai?
      boh. poi il mio commento merita di essere postato quanto il tuo perchè l’admin avrebbe dovuto cancellarlo????
      vabbè va, lasciamo stare va. ha ragione laura, le polemiche inutili lasciano il tempo che trovano. la chiudo qua anch’io. mata ne!!!!^^

  3. Hachi ha detto:

    Credo che spesso sia più straziante, almeno per me, vedere una persona compostissima nel suo dolore piuttosto che qualcuno che lo esterna in modo fragoroso. Perchè c’è un lavoro dietro, una fatica per trattenersi, per, come dici tu, non essere di peso agli altri. Grazie per farci conoscere le mille sfaccettature di questo paese! ^^ Il terremoto di qualche giorno fa? Tutto bene?

    1. Giappone Mon Amour ha detto:

      Cara Hachi, tutto bene. Io ero in autobus e non me ne sono neanche accorta. 🙂
      Hai perfettamente capito il senso del “kijo”. 🙂

  4. Elisabetta ha detto:

    Leggo sempre con tanto interesse i tuoi scritti, grazie per renderci partecipi di tutto questo.

    1. Giappone Mon Amour ha detto:

      Grazie a te della lettura Elisabetta m(_ _)m

  5. Danilo Benci ha detto:

    Ciao, c’ho messo un giorno per decidermi a leggere il tuo post, mi sento un po’ giù quindi avevo paura di avventurarmici! quanti aneddoti potrei raccontarti…ho imparato che si sta sempre genki genki e che se anche si ha un po’ di mal di schiena è meglio non dirlo hai tuoi ospiti in Giappone, subito penseranno che il letto dove ti hanno accolto sia scomodo così è bene esser forti…ma io davanti alle partenze non riesco mai a trattenere l’emozione…
    Se un giapponese piange lo fa in silenzio e grandi lacrime solcano il volto…io ho giurato in cuor mio di non far piangere mai più il mio Giappone!

  6. Simona Obialero ha detto:

    Grazie di questo post, c’è’ sempre da imparare, il tuo blog e’ davvero interessante!
    Buon cammino, il mio si svolge non troppo lontano dal tuo ed è’ bello vedere come due culture orientali non troppo distanti siano simili negli atteggiamenti ma anche diverse se analizzate profondamente!
    Simona

  7. Igor Aloise ha detto:

    le parole alla fine del tuo post, sono incredibilmente uguali a quelle che ho scritto io nel mio ultimo. perciò grazie, avevo bisogno di sentirle. abbracci, come sempre.

  8. taral ha detto:

    Grazie, è sempre bello leggere quello che scrivi!

  9. Danilo Benci ha detto:

    ripensavo … il “dolore muto” anche da noi è forse più forte di quello strillato…come se urlando si attenuasse…considerazioni di un sabato uggioso…

  10. elle ha detto:

    Post stupendo, mi ha fatto capire anche cose che riguardano me stessa.
    Il kijo, si chiama così, allora.

    Dove si è abituati al silenzio le lacrime silenziose hanno un sapore ben preciso.
    Invece, in un mondo dove tutto è urlato, chi vive il suo dolore senza far rumore pare che abbia una forza che gli permette di affrontarlo senza troppo sforzo.

    Grazie per questo post.

  11. Sara77 ha detto:

    Il mio dolore ha la forma degli occhi dopo la notte insonne trascorsa a piangere. I miei occhi da grandi e scuri diventano piccoli piccoli ed assumono un colore velato, il colore della tristezza!
    Al mattino ti specchi e ti dici che “forse non se ne accorgerà nessuno se mostrerai il tuo solito sorriso” e pensi che se pronunci un milione di volte a te stessa “daijōbu” forse ti convincerai che va davvero tutto bene! Mi sento forte e lotterò!

  12. Mario Aprea ha detto:

    Complimenti per questo fantastico blog dedicato al giappone che è una delle mie più grandi passioni, ti aggiugerò tra i link http://www.neongenesis.it/japan/pages/japita/links.php sul mio sito che parla del giappone.

  13. Nana Seven ha detto:

    molto complesso, molto articolato. Mi fa pensare molto. Dura a volte scegliere “va sempre tutto bene” come risposta, quando situazioni palesi dicono il contrario.Non credo ne sarei capace se dovessi perdere qualcuno di estremamente importante. Non potrei mai dire “va bene” quando ció che mi fa star bene non esiste più. Ci vuole molta forza, loro sono culturalmente dotati di questa capacità. Non so se mi sono fatta capire

    1. Giappone Mon Amour ha detto:

      Nana Seven, non dicono sempre che va bene. La fine e’ la mia interpretazione dei kanji, slegati, sciolti l’un dall’altro. E’ una cultura diversa. Non va giudicata secondo il proprio sistema culturale o si rischia di inciampare. Da una parte e anche dall’altra. Bacini Nana cara!

    2. Nana Seven ha detto:

      Laura, bellissimo l’estrapolaxione dei kanji. Ho capito male io il “va tutto bene” menomale^^ … ma ad ogni modo… vorrei tanto poter riuscire ad avere anch’io un pó di 気女

    3. Giappone Mon Amour ha detto:

      Secondo me noi italiani andiamo benissimo senza il kijo 🙂
      Ogni pezzetto della cultura si incastra agli altri e forma un enorme puzzle. Ad ognuno il suo ♥

  14. Claudia Pandolfi ha detto:

    Bellissimo post in cui c’è davvero tanto da imparare… Grazie!

  15. Laura Scipioni ha detto:

    bellissimo post, molto interessante! お休み

  16. Eleonora Midori Poe Gallo ha detto:

    Ogni volta che leggo un tuo post imparo qualcosa di nuovo.. Grazie !!

  17. Federico Falconi ha detto:

    Come fecero a diventare così bestie durante la Seconda Guerra Mondiale delle persone così? Il romanticismo tedesco e la delicatezza giapponese…

  18. Stefania Barca ha detto:

    Già quando lo lessi la prima volta mi aveva colpito moltissimo, mi rispecchio molto nei giapponesi sotto questo punto di vista (anche se la gente poi tende ad approfittarsene :P) Buona notte Laura da una Roma sotto la pioggia!

  19. Marina Garegnani ha detto:

    grazie Laura ,letto il giorno che lo hai postato….

  20. Nicola Hrj Giagheddu ha detto:

    …eppure la felicità non sembra difficile rivelarla per loro……http://www.youtube.com/watch?v=Roahbt92Om4

  21. Valeria Mengo ha detto:

    I tuoi post sono sempre molto interessanti, perciò mi prendo l’onore di condividerli. Da persona nata in Occidente e quindi cresciuta con quella cultura, mi trovo un po’ divisa in due: intanto perché credo di mettere in pratica, a modo mio, il concetto del Kijo, sia perché mi scontro con una cultura che non ha rispetto per il dolore altrui, ma che tende a far prevaricare il proprio su quello degli altri, anche spettacolarizzandolo. Sia in tv che tra gli amici, i compagni di scuola e di università, assisto a “gare di sfortuna”. Ma secondo me si perde quello che è il significato primario della cosa: tutti soffriamo, non necessariamente per eventi catastrofici, ma per le preoccupazioni di tutti i giorni. Si pensa anche che l’altro che guarda e che ascolta non sia in grado di capire il tuo dolore. Invece un buon punto di partenza sarebbe capire che quel che fa male fa comunque male, sia che mi sia morto il gatto investito da una macchina, sia che faccia fatica a trovare lavoro, sia perché – che ne so – ho pochi amici e magari questi non mi comprendono nemmeno.
    Secondo me il dolore ha tante forme e quello che mi piace di più, nella mia idealizzazione del Giappone e della sua cultura, è il rispetto che vi si conferisce. E devo dire che, da profana, è un pensiero davvero rassicurante, se non commuovente. Grazie ancora per le tue riflessioni, sono dei grandi spunti per me

    1. Cristina Bobbio ha detto:

      Ciao Valeria, innanzitutto ringrazio Nana Seven per questa splendida pagina…Condivido quello che hai scritto sul rispetto del dolore che hanno i giapponesi…purtroppo in Occidente c’ è molto egoismo e poca spiritualità…grazie per aver scritto…

    2. Nana Seven ha detto:

      Cristina Bobbio, leggo adesso, ma non credo proprio di meritarmi ringraziamenti, la padrona di casa é Laura di Giappone Mon Amour che incanta con le sue parole e i suoi racconti tutti noi, gli appassionati di una terra che vorrebbero assaporare ogni giorno, e, grazie a lei, abbiamo formato una piccola famiglia GMA dove poter condividere e rapportarci dall’Italia con lo splendido Giappone in maniera sempre garbata e mai scurrile o polemica. è proprio una pagina zen questa ^^

  22. Iulia Lampone ha detto:

    I tuoi post sono per me fonte di grande riflessione cara Laura, è sempre un piacere leggerti! Hanno proprio ragione i giapponesi: più qualcuno si mostra forte, maggiore è la compassione che merita.

    un abbraccio

  23. Eleonora ha detto:

    Quello del kijō è un tema a me molto caro. Condivido pienamente il tuo pensiero, in particolare quando scrivi: “I giapponesi sono portati a non mostrare i propri sentimenti non certo per una mancanza di emozione ma perchè la cultura insegna a mettere davanti a sè l’altro, a non far prevaricare il proprio dolore su quello altrui”. Secondo me, è proprio nel fattore “cultura” che si annida la giusta chiave per comprendere il Giappone e i giapponesi. Purtroppo c’è sempre chi giudica l’altro basandosi solo su se stesso e sul proprio vissuto. Basterebbe semplicemente accettare il fatto che non c’è sempre una risposta concreta al perché e al come qualcuno agisce. Basterebbe capire che a volte non c’è spiegazione: è così e basta. E’ semplicemente “cultura”.
    Grazie per questo tuo post, intenso come gli altri. Leggerti giornalmente è molto appagante. Un abbraccio, cara Laura <3

  24. chiarac ha detto:

    Leggere questo post è stato molto intenso per me. Ho sentito il concetto di KIJO molto vicino a me e alla mia personalità. Sto pensando di considerarlo come tema della mia tesi triennale, prendendo magari ulteriori spunti da qualche libro o qualche autore in particolare, che al momento sto ancora cercando.. Se hai qualche spunto/consiglio da darmi, ne sarei lieta e ti ringrazio anticipatamente. Per me, studentessa di Studi Orientali a Roma, leggere articoli così profondi e così ricchi di significato è sempre un ottima fonte di arricchimento personale. Grazie. 🙂

  25. Francesca ha detto:

    Il giorno del funerale di mia madre, mi vestii con un abito elegante scuro, mi pettinai, non mi truccai per mantenere il viso pulito perché non potevo smettere di piangere. Una mia amica, qualche giorno dopo, mi disse cheta rimasta colpita dal fatto che, sia io che mia sorella, non eravamo andate al funerale sfatte e vestite a caso, che sarebbe stata una cosa comprensibilissima comunque. Invece ci eravamo preparate e rese “presentabili” per questo ultimo saluto. Io risposi semplicemente che la mia mamma avrebbe voluto così, perché lei era così. Il dolore è dentro. Il giorno dopo entrambe siamo tornate a lavoro.
    Leggendo questo post mi sono molto ritrovata in ciò che hai scritto. Te ne sono grata. Lo prendo come un omaggio, un pensiero gentile e come incoraggiamento a continuare così. ?? Arigatou Gozaimashita

    1. Laura Imai Messina ha detto:

      Che bello sapere di avere lettrici come te. Un tocco delicatissimo il tuo, commovente.

Rispondi a Marina Garegnani Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

*