canile

Delle parole che non vorresti mai imparare

Da quando ho incontrato la Gigia ho imparato la parola ecografia 超音波検査, lastra レントゲン検査. Subito dopo l’adozione della Gigia, abbiamo imparato termini mai sentiti neppure in italiano perchè pare abbia una malformazione cardiaca e che ogni operazione sarà sempre un rischio. Ma lei è gioia pura e da fuori non si direbbe affatto che sta male.

Ad ogni modo, anche se sono complicate queste parole, così lunghe e così lontane dal mio mondo linguistico, le imparo. Me le scrivo e faccio in modo da non dimenticarle.  Arriva però il giorno in cui devo imparare parole anche più dure come, in associazione, vescica 膀胱  e poi tumore 腫瘍.

Martedì dal veterinario, scopro infatti che la Gigia ha un tumore. Maligno o benigno non si sapeva ancora. Ma le parole promettono cose. E se sono termini con echi sinistri, belle non possono essere. E, purtroppo, avevo ragione.

 Guardo questa creatura inconsapevole di tutto e mi dico che vorrei tanto non aver imparato queste parole ma anche che da oggi, per curarla, ne dovrò imparare ancora altre, anche di più complicate. E voglio che siano termini in cui vi sia spazio per l’azione, per il fare. Per il curare.

Passa intanto una settimana e nell’ignoranza che mantiene ferma ogni azione – perchè nello specifico ancora non ci sanno dire, le analisi sono imprecise, il corpo un giocattolo troppo capriccioso –  capisco che forse è arrivato il momento di arrabbiarsi. E per la prima volta da anni mi arrabbio. E grido impazienza. E allora ci indirizzano in un ospedale dove ogni cosa si fa più semplice e più chiara. Anche se, inevitabilmente, più costosa.

Non trattengo niente dentro. Sono così. Di chi non amo non mi curo – taglio via la bruttezza della gente come un paio di cesoie i rami secchi. Ma di chi amo mi curo in modo persino maniacale e non c’è dettaglio che non noti. E di questa cagnolina, incontrata in un giorno d’estate in un canile di Shinagawa, posso dire di sapere tutto.

E torno alla memoria a quel giorno.

“Aspetti qui che gliela porto” mi dice il veterinario del canile mentre con un micino bianco e nero sulla spalla si allontana lungo un corridoio pieno di porte e di luce.

Sono emozionata. E come accade quando sono emozionata il cuore diviene un organo che si sente, qualcosa che non è ovvio che ci sia.

L’uomo torna. Lo vedo arrivare e automaticamente mi accuccio per accogliere quella creatura che non ho ancora incontrato ma che ho già deciso di fare figlia e migliore amica. Tira forte perche’ e’ eccitata quanto me, mi si butta addosso e nelle mani è magra e perde pelo.

“Vuole sapere il nome con cui la chiamavano prima?” mi chiede il veterinario del canile.

“No” rispondo decisa. “E’ un nome che ha dentro un abbandono. Le posso dire pero’ il suo nuovo nome. Si chiamerà Gigia. Come Topo Gigio, ma al femminile. Sa, in italiano abbiamo il genere dei nomi. Basta cambiare la -a in -o e viceversa”

Sorride. Ma piano. Ha un viso serio questo veterinario. La dolcezza la nasconde nel sorriso che, di tanto in tanto, gli trasforma il volto. Forse, penso, è una di quelle persone che per lavoro hanno a che fare con la cattiveria della gente. Del resto chi ha portato lì la Gigia ha firmato un foglio in cui autorizzava la sua eventuale soppressione…

Così, mentre al secondo piano dell’edificio vado a seguire il seminario in cui il veterinario mi spiega come accudire il cane, mi mostra in barattoli di vetro cosa fa la filaria alle viscere di un cane, mentre prendo appunti dalle slides in power point, ho nel cuore l’emozione di quella creatura con il naso nero e umido che ho incontrato poco fa.
E’ la procedura per adottare un cagnetto dai canili giapponesi. Due lezioni, due seminari di un’ora circa l’uno. E dopo qualche scartoffia la creatura è tua.

Il primo regalo che le fai è il nome. Allegro, pieno della dolcezza delle gi e della bellezza della tua lingua madre. Il secondo è un collarino blu che hai comprato insieme a Miwa il giorno prima, quando Ryosuke ti ha detto che c’è un inu (cane, cagnetta) che si può andare subito a prendere ma che, dato che nella parola giapponese non c’è il genere, tu – chissà poi perchè – hai pensato fosse un maschio.

Da quel giorno sono passati due anni e lei è diventata a tutti gli effetti nostra figlia.

La Gigia non ha la coda. Ma ti guarda. E i suoi occhi restano puntati nei tuoi occhi.
Ed io voglio esserne all’altezza.


***Ci vuole tempo, cura e tanta pazienza. Settimane indaffaratissime. Per un po’ sottrarrò tempo al pubbico per concentrarmi sul privato.
Torno, sì. Ma con tanto meno tempo per gestire tutto. Grazie dell’affetto – in una misura che mai avrei immaginato – che mi avete mostrato. Mi ha convinto a non chiudere nè pagina nè blog.
Il mio secondo admin si occuperà completamente della gestione del blog. Io vi entrerò quando avrò da inserire nuovi post. Mi perdonerete se leggerò con ritardo i commenti. Lo farò tutto in una volta, tra un po’. E anche sulla pagina ci sarà qualcuno che mi aiuterà. Grazie a loro ma anche a tutti voi. Mi scuso e vi abbraccio. Laura