dottorato

DCL 8 o di una grande soddisfazione personale

DCL 8
Il mio codice. D come Doctoral C come Course L come Languages. Ed 8 è il mio numero.
Nella lista di codici appesi fuori dalla grande bacheca che si erge all’ingresso dell’università, antistante la strada, ho scorto il mio DCL 8.
“Sono dentro”, mi sono detta e l’ho fotografato.

I risultati sono stati attaccati in bacheca stamattina alle dieci, quando mi apprestavo a fare la passeggiata con la Gigia. Io, perciò, li ho visti solo a mezzogiorno, orario in cui sono giunta in bicicletta all’università.

Ho lasciato le mie cose in aula professori, ho telefonato a Ryosuke, sono andata a salutare il Professore, ho chiamato e scritto messaggi agli amici – quelli veri – che in questi mesi hanno tifato per me senza appesantirmi di sensi di colpa. Poi sono tornata nuovamente nell’aula professori in cui oggi, per l’ultima volta, sono entrata da docente.

Ho assaporato a lungo il caffè della macchinetta, ho consegnato i voti di fine anno degli studenti, ho svuotato il mio box sotto gli occhi benevoli della segretaria e sono andata a salutare le persone con cui, in questi anni, ho lavorato. In aula fotocopie, nella stanza multimediale etc.

E’ una sensazione curiosa. Che potrebbe suonare come un passo indietro ma che, in realtà, è un enorme passo in avanti.
Da studente a docente. Da docente a studente. E per almeno due anni dovrò sospendere il mio incarico in questa università. Nelle altre continuerò ad essere chiamata “sensei 先生”, in questa dal prossimo aprile vi accederò invece come “gakusei 学生”, studente di PhD (dottorato di ricerca).

Torno con la mente alla fine di gennaio, ai terribili esami di ammissione, al 『文学論』 di Natsume Soseki, al tema da scrivere a mano, in giapponese, a commento di quel lunghissimo estratto. Alle pagine e pagine di traduzione inglese-giapponese giapponese-inglese sugli argomenti più vari (dal futuro dell’editoria alla scienza dell’etimologia passando per la modalità di approccio tra primati e la funzione del parlare del tempo nella cultura anglosassone). Ripenso all’orale, alla dissertazione della mia tesi di master (quello conseguito a Tokyo), alla letteratura giapponese contemporanea, all’arte e all’astrattismo. Alla discussione sul progetto di ricerca su cui mi concentrerò per i prossimi tre anni. Quanta fatica. Ma adesso quanta gioia. Quanta soddisfazione.

Di quei giorni che diventano ricordi per forza. Perchè sono carichi di un’intensità che suggerisce le loro conseguenze.
E da aprile, per quanto il resto della mia vita rimarrà immutata tra lavoro all’università, scrittura e famiglia, vi si aggiungeranno lezioni da seguire, paper da consegnare, presentazioni da preparare e una tesi appassionante da scrivere.

Ma ora no. Ora c’è solo da festeggiare!!!

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In foto: (1) La discesa dal tempio, un ponte di legna e paglia. Il bellissimo pino con le sue dita incurvate e chiazze di colore qui e là. In fondo sulla sinistra la fonte in cui ci si purifica versandosi l’acqua sulle mani; (2) una enorme carpa arancio nel laghetto (3) Un minuscolo ponte - di un solo metro -a cui, però, è stato attribuito un suo nome~♥ Sulla via verso il tempio, qualche altro metro e vi è la scalinata che porta a Jindaiji 深大寺. Tutti scatti di febbraio 2012.