Ginza

Di Ginza e delle buone abitudini

Ginza, il palazzo della Mont Blanc. Un taxi, dall’altro lato della strada, che è già partito. Un camioncino addetto al trasporto di asciugamani puliti che attende il turno al semaforo.
Il cielo, anche lui, intonso.

La sovrapposizione di immagini e colori, le scritte che decorano palazzi in senso orizzontale e verticale, è una di quelle cose che di Tokyo amo di più.

L’occhio è conteso. E lo sguardo s’apre a ventaglio.
Come quello delle donne che quest’anno, piu’ degli scorsi anni, si sono sventolate per il 節電 il razionamento energetico deciso in seguito alla crisi nucleare. Setsuden che è finito ufficialmente. Ma che si vuole far continuare a rispettare.

L’emergenza è finita ma le buone abitudini è sempre bene non lasciarsele sfuggire.

Di Ginza, dello shinkansen e dei riflessi

Città che cambiano faccia dalla domenica al lunedì. Si truccano un po’ meno, si lasciano andare e poi tornano a fare il proprio lavoro con un pizzico in più di austerità. E’ questa la sensazione che provo ogni volta a Ginza, la cui strada principale viene chiusa al traffico nei giorni festivi.

Oggi, con la famiglia di Ryosuke, appuntamento a Shinbashi 新橋.

Mi incanto dentro alla stazione a guardare un signore che apre con la sua magica chiavetta il cartellone – vuoto – destinato ai poster e ve ne inserisce dentro due. Uno da destra e l’altro da sinistra. Immobile, da dietro, a guardarlo muovere mani, prendere oggetti, srotolare, inserire, aprire, chiudere. Avverto un fascino immenso nell’osservare i “retroscena” della mia quotidianità, quei lavori “invisibili” di cui si è abituati ad osservare solo il risultato. Il prodotto finito. L’ovvio è di per sè banale. Osservare poster in stazione, nei treni, per le strade lo è per necessità. Ma poi vedere un uomo in divisa partire dagli ingredienti e cucinare con lentezza e precisione quell’ovvio risultato lo priva, come per magia, dell’ovvietà. E diviene speciale. Regala un “nuovo sguardo”.

Usciamo dalla stazione con quei preziosi minuti di ritardo e ci sono la suocera ❤, la sorella di Ryosuke e la nipotina ad aspettarci. 「お待たせしました」, “Scusate per l’attesa”. E si parte. Per 博品館 (Hakuhinkan) uno dei negozi di giocattoli più antichi di Tokyo, camminando verso Ginza. Il sole che picchia, il sole che scalcia. E mentre attendiamo al semaforo mi volto verso la stazione e vedo passarvi sopra uno shinkansen 新幹線. Bianco e con il suo muso allungato e tante piccole finestrelle, una dopo l’altra. Tiro fuori la macchinetta e lo “prendo giusto giusto per la coda”.

Il negozio di giocattoli a cinque piani è una meraviglia. Saliamo in ascensore e scendiamo, girore per girone, a piedi. L’occhio è conteso da mille cose. Si pensa al viaggio in Italia che ci attende e ai regalini che la sua famiglia vuole portare alla mia. Si pensa a quellao che sarà il miao nipote. Perchè ancora non si sa, ma già non vedo l’ora di di viziarlao.

Infine usciamo, passegiando per le strade altissime di Ginza. Mi incanto ancora una volta. Ma questa volta di fronte ai riflessi delle vetrine. Delle vetrate. Perchè in un solo sguardo si vedono due mondi. Quello dentro e quello fuori.

Una pausa in un caffè, per prendere fiato e poi di nuovo a picco nella città. Nel quartiere di Ginza che, in quanto ad eleganza, non ha pari.

Stanca per un lavoro certosino da finire, per i preparativi per l’Italia da iniziare, per le meraviglie che mi sta offrendo quest’estate giapponese. Più tempo, voglio più tempo!

Di Ginza e della voce

Ginza di domenica mattina ha tutta la luce addosso.

E’ il quartiere “alto”, quello dove la ricchezza la si percepisce con piu’ immediatezza e le strade sono larghe come non mi capita, invece, di vedere in quartieri come Kichijoji che abitualmente frequento.

Le strade sembrano letti di un solo fiume e la domenica mattina, quando Ginza ancora dorme, sono vuote di tutto – macchine, pedoni …
E la luce ha spazio tutto per sè e ci sguazza dentro.

Tutto merito del mio timore di arrivare tardi. Giunta mezzora prima dell’orario fissato per l’appuntamento, passeggiando ho fatto qualche scatto, maledicendo la batteria quasi scarica della macchinetta.

Domenica mattina, a Higashi-Ginza, una deliziosa prima volta.

Con altri cinque colleghi e la coordinatrice ci vediamo al caffè accanto allo studio di registrazione dove incideremo le tracce della parte auditiva dell’イタリア語検定 (l’esame di certificazione dell’abilità linguistica dell’italiano).

La prova microfono, il copione e io scopro d’essere “rosa”, perche’ quello e’ il colore con cui sono evidenziate le parti che devo leggere io.

La voce che temi tremerà e la gola che diventa la protagonista assoluta del corpo. E’ lei e non sei più solo “tu”.

All’inizio deglutire così tanto che non ti accorgi di farlo già inconsciamente infinite volte al giorno.
Ma poi vedi intorno a te professionisti che calibrano perfettamente velocità e interpretazione e non vuoi essere da meno. Ganbaru ganbaru ganbaru!

A volte dialoghi, a volte monologhi. E si ride, immaginando le situazioni. E’ il bello dell’essere tutti italiani. Non si perde neppure una sfumatura.
Mi diverto come non mi capitava da… da quando?

Si va abbastanza veloce ma con estrema precisione. Il nostro coordinatore, meticoloso, ci fa notare piccoli difetti. In quel caso si riascolta. Se necessario si rifà. E riascoltarsi fa un effetto stranissimo. Perche’ la propria voce la si sente sempre diversa dentro il corpo.

Prima devo essere arrabbiata, poi felice, poi neutra, poi c’è chi è geloso di me, bisogna dare indicazioni e così via per un’infinità di diverse situazioni.
Ed è bellissimo anche solo ascoltare gli altri, guardare i loro volti concentrati, vederli gesticolare partecipando a ciò che stanno leggendo o improvvisando. Perchè alcuni dialoghi vanno improvvisati. Si aggiunge naturalezza al parlato. Si aggiusta mentre si legge.

Le nostre voci sul computer dall’altra parte del vetro, dove la nostra adetta al suono interrompe, riprende, registra e ci dà il via.

Le novità fanno bene. E quando usciamo dallo studio, il pomeriggio è ancora lì. Una passeggiata a Ginza con Alessandro e poi a casa dalla Gigia.

Ma rimane tutta l’emozione fino a sera e, se non fosse stato grazie ai miei colleghi che mi hanno saputo mettere a mio agio dall’inizio e alla fiducia di Marco, non avrei mai passato una domenica di luglio così bella.

Quindi grazie. Grazie davvero!

*In foto Ginza. Solo lei.

Fedelmente imbarazzata

Sono arrivati infine gli anelli e in un colpo di coda sono sparite altre due settimane dall’agenda. A Tokyo è arrivato il freddo e gli abiti si fanno più spessi. Le code più sottili.

12090004Oggi siamo andati a Ginza a prendere gli anelli. Un esile palazzo incastonato in altri due, infarcito di negozi vari ed eventuali, ristoranti e cafè. Al quinto piano c’è l’orificeria Kunno, artefice delle nostre fedi. Ordinate su forma, misura e personalizzazioni elaborate, appunto, ad personam.
Scopro di avere un anulare più sottile dell’altro e mi accorgo della differente, quasi impercettibile, divaricazione tra medio ed anulare che determina un certo fastidio quando metto l’anello.
Temo dovrò farlo allargare, ma nel mentre aspetto la magia dell’abitudine che fa sì che gli animali accettino col tempo praticamente ogni cosa che non va. Vedremo.

Uscendo dal negozio le due commesse ci accompagnano all’ascensore e si piegano in un profondissimo inchino (a quasi 45°) che permane mentre, infine, si chiudono le porte. Io guardo Ryo con aria interrogativa, lui mi suggerisce che probabilmente è parte della politica aziendale.

Resto ancora lievemente imbarazzata di fronte ad inchini eccessivamente lunghi e profondi: l’occidentale che è in me lo legge inconsciamente come un eccesso di servilismo, l’orientale che è in me lo ignora, come tutto il resto.