il solito

"Il solito, per favore!"

Se da una parte il blog e il gruppo facebook mi hanno dato la possibilità di percepire un’energia nelle persone che forse mai mi era accaduto di sentire (e mi ha sorpresa), dall’altra non vedo l’ora di ritornare alla mia solita vita.

Il portatile in borsa con dentro custoditi i miei romanzi, le lezioni all’università, gli studenti e la sottile ansia che accompagna ogni nuovo incontro, le torte salate e i guanti spaiati con cui le estraggo dal forno, il ritorno di Ryosuke a casa ogni sera e non dedicarmi ad altro che a lui, sentire i suoi racconti, offrirgli i miei e andare a dormire con quelli di entrambi mescolati nella testa.

Le passeggiate con la Gigia, il suo sederotto buffo, le orecchie a forma di antenne e le pulizie di casa per riparare ai suoi unici doni: i peli. Usaghino, i discorsi del cuscino, i caffè con Miwa, le chiacchierate con Keiko con la sua splendida bimba sempre in braccio,  i discorsi che s’aprono a ventaglio. La Banda di Marco, Carla, Sara e Alessandra. Il dottorato a cui ho pensato ormai abbastanza per decidere che è arrivato il momento di provare a realizzarlo. Il corpo, il mio fioretto, la lingua giapponese che non mi basta mai.

I treni, scrivere nel ventre della Tozai, della Sobu, della Chuo o della Yamanote. La massa di gente stipatavi dentro e la sensazione di divenire parte del corpo di un altro. La spesa in bicicletta, il cestino che trabocca di verdure.

E già non vedo l’ora che sia estate per andare con Ryosuke a Sendai per il Festival di Tanabata e abbracciare così virtualmente anche Matsushima e le zone più colpite dal terremoto e dallo tsunami.

Difficilmente si potrebbe amare così tanto una città e una popolazione. Io devo al Giappone la realizzazione di tutti i miei desideri e, quando si riceve così tanto, ricambiare è d’una ovvietà inesprimibile. Diviene addirittura una necessità.

Fosse un cibo sarebbe “il solito”. Quello che, varcata la soglia del ristorante, il cameriere ti porterà immediatamente. Senza bisogno di ordinazione, perchè ha già capito, perchè chiedi sempre lo stesso e sei diventato così prevedibile che quasi non esistono eccezioni.

Sarà che ultimamente mi è passato l’appetito e al cibo penso spesso ma di questo sono assolutamente certa: se il Giappone, e Tokyo soprattutto, fossero un piatto io non ne avrei mai abbastanza.

“Il solito, per favore!”


がんばれ日本! Forza Giappone!

*La prima foto l’ho scattata a Shibuya qualche giorno fa, la seconda in estate dal Mori Museum di Roppongi