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Di Tokyo e delle strade senza nome

 Chika-chan – diciott’anni e una delle ragazze piu’ positive che io abbia mai incontrato – mi chiede sorpresa:

“Ma allora tutte le strade hanno un nome in Italia?”

“Sì, nomi di persone del passato, persone che hanno fatto la storia dell’Italia intera o di quella città, date importanti, nomi di città…”

  Si guardano, lei e Saori-chan, e pronunciano gridolini di sorpresa tanto tipici di questa lingua che con la meraviglia punteggia il fraseggiare.

  “Qui invece è diverso” mi dicono. E ricamano paragoni tra casa loro e quella altrui.

  Tokyo non ha nomi per le strade e anche quando li ha questi non sempre vengono presi come punti di riferimento.
I luoghi intorno ai quali si fonda un quartiere, una città sono altri. Maggiormente legati alla vita della gente che li abita. Scuole, uffici postali, ristoranti, kombini etc. etc.

  E’ gioiosa questa sua sorpresa. Mi ricorda la mia all’inverso, quando nel capacitarmi dell’assenza di nomi per le strade tokyote, ero certa di non trovarmi più.

 E così, all’inizio, accadde più volte. E il mio primo mese di Giappone ha un certo vagare curvo in bicicletta, fotografie scattate in anonimi luoghi (e senza nome) che separavano casa dall’università, scatti che a riguardarli fungessero da sassolini e mi riportassero –  Pollicina – sulla “retta” via.

  Ma ricordo soprattutto l’enorme librone del quartiere sfoderato dal poliziotto del koban che mi chiede il nome della famiglia presso cui alloggio e poi, sfogliando carta come dita che girano la chiave in una serratura, punta il dito sulla casa, quella giusta. Che è il mio punto di partenza. E sara’ il mio punto di ritorno.

  Eh sì, questo è tutto un altro mondo.