melograno

«Se New York è una mela, allora Tokyo è un melograno»

  Se New York è una mela, allora Tokyo è un melograno.

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  Carmelita se lo ripete ogni volta che qualcuno le chiede com’è la città che, in un’afosa mattina di dieci anni fa, l’ha adottata.
Melograno, sì lo sa che è l’albero e non il frutto, ma non le importa, suona molto meglio così.
A volte le chiedono «Perché?». A volte danno semplicemente per scontato che una risposta non ci sia. Ma quando glielo chiedono lei sta zitta e si limita a sorridere.

  Com’è Tokyo?

  Se New York è una mela, allora Tokyo è un melograno. 

 Perché?

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  Perché snocciola chicchi d’un rosso succoso a ogni cambio della metro. Tanti piccoli semi, ognuno con una forma simile eppure distinta, incastrati tra branchie di legno. Sono città nella città, collegate da una lunga collana di rotaie. Basta spaccare il guscio per scoprirle, una a una, separate da invisibili linee di confine.

  Perché i chicchi di melograno hanno una dolcezza prudente che emerge in un tutt’uno con l’amaro del seme. È il sapore legnoso degli ammassi di insegne che coloratissime delimitano le strade e i marciapiedi, delle voci che gridano «Benvenuti!» per invogliare i clienti a entrare nei ristoranti, delle macchine in transito e dell’umanità di passaggio. Ed è anche tutto ciò che lo circonda: nostalgiche file di casette a due piani, piccoli campi e orticelli comunali, verde che fa capolino dai giardini delle ville. Tutto insieme, contemporaneamente, nella bocca.

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  Perché raggrumata intorno alle stazioni c’è la Tokyo attiva ed eccitata, affamata di cose e di consumi. Allontanandosi dalle strade principali, invece, si comincia a respirare la Tokyo sonnacchiosa, quella che sa che la sopravvivenza sta nell’equilibrio. Tra ciò che grida e ciò che tace.

  Ma soprattutto e Sopra a Ogni Cosa perché, se non hai voglia d’essere trovato, nessuno mai ti troverà. E nella vastità della sua superficie orizzontale e verticale a Tokyo puoi lasciare tutto quello di cui ti vuoi liberare.

  Estratto da Tokyo Orizzontale (Piemme, 2014) pp. 64-65