wrestling

Il Giappone e il kawaii (・ω・)

   Quanto si è grati all’infanzia? A quel periodo che si ciba dell’entusiasmo per le cose belle, tutte, anche e soprattutto quelle che significano poco per gli adulti.
Ho ricordi difficili di quando ero bambina. Nulla, mi sembra, mi sia mai scivolato tra le dita come acqua, che passa e lascia mani pulite e un senso di freschezza. Non era cosa semplice e non poter possedere peluche per una forma d’asma che mi rendeva allergica a qualunque cosa chiamasse polvere, credo che non aiutasse. Ma, anche se con ritardo, il desiderio di bambina si e’ realizzato.
Qui, nel paese del kawaii, mi rifaccio di tutto cio’ che negli anni mi e’ mancato. Kawaii、 可愛い、 かわいい、 カワイイ.

  La nostalgia dell’infanzia, pupazzi dalle orecchie indurite dalla saliva e dalle carezze scattose dei bambini, le merende che sole riempiono un pomeriggio, nel desiderio che le anticipa e nella gioia sciupata della fine, Natale e la Befana, i giochi che anche a ripeterli non perdono un grammo di bellezza. Il respiro della sorpresa, i sorrisi che – a priori – ti rivolge la gente come se fossi “giusto”, come se fosse un obbligo volerti bene; gli anziani, soprattutto, che in quel periodo ritrovano in te la gioia di una vita che volge alla fine, ti guardano come a condividere un briciolo della vita, invece, che per te sta ora iniziando.
E poi le cose dolci e pucciose che migliorano l’umore. La mancanza di conseguenze, in un rapporto misericordioso di causa effetto che immette al centro la possibilità che qualcuno risolvi il tutto per noi e nella speranza che non ce lo faccia pesare.

  In Giappone sono tornata bambina. Sul camion che rifornisce il kombini stampano verdure, cartoni di latte, frutta e pane con gli occhi, la bocca e tutto il resto, creature che s’animano e che sembrano viaggiare su un minibus della scuola. Il pacco della posta ha su disegnato il gatto Jiji cui Miyazaki Hayao ha dato un nome e ha messo nel suo film “Kiki’s Delivery Service”. Vivo vicino a una casa con il tetto d’erba, i tombini che disegnano paesaggi di ciliegi o pompieri volenterosi pronti a spegnere ogni incendio; accendo la tv e le previsioni del tempo hanno soli, lune e nuvole con la tristezza in faccia o il buonumore. I messaggi al cellulare, anche da un esimio professore, capita che arrivino decorati da faccine. Le email da amici e familiari piene di animazioni deliziose. Alla fine del telegiornale vi è sempre un angolo dedicato alle cose più leggere e curiose, come per risistemare l’umore dopo i fattacci. Il buonsenso poi dosa tutto, come un cuoco una ricetta.

   Il kawaii e’ parte d’ogni cosa, anche la piu’ seriosa. Avvicina l’estraneo, fa sorridere chi ha occhi per vederlo. Sono dettagli che s’ingrandiscono a macchia d’olio. Danno una scusa in piu’ per godere dei pezzetti di vita che ci sono stati dati.
Ho d’un tratto smesso di guardare questo mondo colorato con la superbia dell’adulto che nel solo bianco e nero trova l’essenza di tutte le tonalita’. Non c’e’ da essere impostati, da fingere di non amare più qualcosa perchè “è da bambini” e che quindi sembra obbligatorio dover escludere dal pacchetto “maturità”.

  Due weekend fa a Koenji siamo andati a vedere un piccolo torneo di wrestling tra pupazzi. Non quelli piccini che riempiono un pugno, bensì quelli che neanche le braccia possono interamente circondare. Una gioia contagiosa che muoveva come onde gli spettatori tutti intorno. Sono spiritosi i giapponesi. Amano ridere e hanno una soglia del ridicolo che è più generosa della nostra.
Loro ammirano la nostra eleganza, le nostre figure disinvolte e sicure, noi impariamo da loro quanto poco sia sbagliato gioire delle tenerezze.

  Ed ecco che il pupazzone con la testa tonda tonda affronta un altro a forma di portafogli che si muove piano piano per non inciampare. Gambe piccinissime le sue. Un leone si muove tra la folla delle fans degli L’Arc-en-Ciel, il gruppo di cui  il kyarakuta e’ la mascotte, e le ragazze in questo sistema kawaii partecipano dello stesso desiderio indossando mascherine con il faccino giallo ed i baffi lunghi da felino. Un gagliardissimo orso che dopo poco si trasformera’ coinvolge un sorvegliante che, preso dall’entusiasmo, ride anche lui come un bambino. Un delirio in multicolor.

  Il nome e la forma di questi pupazzi, chiamati in giapponese kyarakuta, seguono una logica legata alla zona/società che rappresentano, alle caratteristiche fisiche, alle mosse “segrete” che fanno e vengono sempre presentati in modo buffo e spiritoso. Alcuni si muovono pian pianino, agitando quel che possono agitare, altri invece sono scalmanati e scatenano l’ilarita’ generale. La maggior parte di loro ha un portavoce che risponde alle domande.
E un coro di “kawaii!!!” dalla folla ringrazia della positività ricevuta. Nel pubblico soprattutto adulti, altro che bambini.

  Il kawaii è l’amuleto del buonumore. Ognuno ha il suo, la percezione propria di ciò che fa scaturire tenerezza.
E’, per me, la scusa per un sorriso in piu’. La cura per ogni nonnulla della vita.