読む o di una torta che non fa ingrassare
Correndo di stazione in stazione, ciò che era rosa solo un paio di settimane fa ora è verde, il fiore lascia il posto alla foglia, l’instabile voluminosità dei ciliegi arretra in favore d’un passo, si tramuta in un paesaggio più fermo di rami e fogliame. Siamo a un passo dalla Golden Week. Un passo già compiuto per alcuni.
Lungo le rotaie dei treni papaveri in fiore, agli orli delle strade chiazze di colore. E volenterosi uomini e donne strappano erbacce, muniti di falcetti s’affannano a vincere la lotta della natura che prende splendore.
Non solo case private, muri di casette, ma anche cigli delle strade, suolo pubblico.
Perché in Giappone “quello che è di tutti è anche mio” ed ha persino più valore di quanto mi appartiene, solo, di diritto e proprietà.
Mentre scrivo, sul convoglio il pianto di un neonato continua costante, ininterrotto. Non è il fastidio dell’orecchio ma la pena del cuore, che non tollera il pericolo d’un urlo che continua così a lungo. Ancora un mucchietto di settimane e la nostra casa, di questo pianto declinato in più necessità, traboccherà.
Pur dislocata fermamente nel mondo giapponese, a seconda di quanto mi interessa, mi ritrovo nell’Italia della lettura, nello scrivere che, grazie ad un formidabile incontro, riprende ad avere più d’una meta.
Porto a lezione i dati Istat 2016 sulla lettura, mi indigno lì dove mi riservo dello spazio di azione, mi intristisco per le conseguenze a lungo termine che immagino verificarsi al mio paese, come presagi di spietata esattezza. Perché un popolo che non legge è un popolo che mostra il fianco a chi lo vuole sfruttare.
Un uomo che non legge è un uomo inerme, in balia del furbo di turno. Sia che si tratti del politico trombone, del commerciante disonesto, dell’amante violento.
Chissà, forse un tempo il parlare e l’ascoltare soprattutto, compensavano un poco la saggezza diminuita di chi ha solo un’opinione o di chi si condanna a replicare sempre un rassegnato ‘non lo so’.
Ma oggi?
Serve allora un elogio alla lettura, uno sentito, che convinca anche un poco che essa è un tale piacere che chi la conosce sa che è come la torta più buona del mondo che invece di farti ingrassare e alzarti il colesterolo, ti fa dimagrire, fa bene al corpo e ti rende persino più bello.
Leggere scrive la terra, incide la strada che naturalmente i nostri passi percorreranno. La asfalta all’occorrenza, che si possa prendere una bicicletta e scenderla di corsa come pioggia. Oppure ne conserva pietruzze, per serbare il piacere dell’avventura, della scossa.
Leggere insegna la diversità, che non sempre paradossalmente la vita riesce a mostrare. Scegliamo, ci ritagliamo certi tipi di strada. Nulla è meno ovvio di quello che ogni giorno decidiamo di fare. Di noi, del nostro tempo.
Leggere scardina abitudini, procura all’occorrenza il coraggio per cambiarsi la vita. Se lo hanno fatto altri, perché io no?
Fa di un fiume una via verso il mare, per quanto esile sia il suo corso iniziale.
Nei romanzi leggi di esperienze accadute, ti senti un po’ meno solo nelle sventure. Incoraggiato, quando un libro dipinge con perizia la vita, nel modo equilibrato che dose la fortuna e la sfiga e immerge entrambe nell’umore soggettivo che, davvero, regola ogni cosa. Perché come ti vedi sarai.
Leggere facilita il sorgere di un’opinione, una che non sia stata già abusata da altri. Non ti mette neppure fretta nell’esprimerla, perché impari che le opinioni vanno “formate” e che, a qualunque cosa si voglia attribuire una forma, è importante concedere il tempo di costruirsela per bene, con calma.
In quest’epoca di parole sprecate, dove ognuno si sente in obbligo e insieme in diritto d’una opinione, la differenza tra chi quell’idea l’ha edificata con solide fondamenta e chi l’ha raffazzonata con gli scarti d’una vita vissuta con poca consapevolezza, si avverte.
Leggere ti evita certi errori elementari, dalle conseguenze talvolta brutali.
Ti evita inoltre di adeguarti quando sei in dubbio, perché tu, solo, forte dei pareri edificati pezzo per pezzo, sei certo di poter trovare una via e, in caso, di saper valutare di quale fidarti.
Leggere rende intelligenti, svelti. Ti fa venire voglia di sapere e, sapendo, di insegnare ad altri e, soprattutto, di insegnare te stesso agli altri. Amplifica la competenza linguistica, allarga il vocabolario. Ti regala parole per dire, per raccontarti, ma anche per non dire ciò che non vuoi.
Più parole si hanno a disposizione, più pensieri si riescono ad elaborare. Più soluzioni ai problemi si possono contrastare.
In giapponese lettura si dice 「読書」 /dokusho/, e libro 「本」 /hon/ mentre il verbo leggere è 「読む」 /yomu/, tre parole che mi inseguono sempre. E mi tengono una compagnia stabile, sicura, non soggetta a strappi né spiacevolezza.
Miura Ayako (三浦綾子) scriveva che la lettura è una cosa che, a seconda del momento, presenta nel modo di percepirla un doppio spessore, della profondità e della superficialità. Che, a seconda del contesto, dell’ambiente in cui ci si trova in quel preciso momento, il modo di leggere – e pertanto anche di capire qualcosa – raggiunge la profondità o resta in superficie.
「読書というものは、その時に応じて読み方に深浅がある。自分のその時に置かれた環境で、読み方が深くなったり、浅くなったりする。」
Ed io mi accorgo di quanto mi parlino i libri, di come a seconda del tempo mi insegnino cose diverse, proprio come certe splendide persone.
L’ho scritto tempo fa, lo ripeto. Che uno dei motivi di base per cui leggo è il principio per cui, come declama in un imperativo informale un detto italiano, è bene frequentare chi è meglio di sé.
“Sì, Laura, frequenta chi è meglio di te!”
E nei libri trovi il meglio di quanto una persona abbia da dare. Grandi menti con cui dialogare.
Va bene la rassicurazione perenne, l’affetto votato alla semplicità, ma la vita purtroppo non è una cosa da principianti. È un mucchio di costanti complicazioni, piuttosto, e parla una lingua che evolve, al di là delle nostre capacità e della nostra velocità.
Torna il concetto di 「型」 kata per cui, una volta che sai, e sai molto bene, puoi cambiare le cose, non rischiare quasi nulla anche quando può sembrare un azzardo. E allora leggere ti permette di percepire la rete, l’architettura delle fila che hai intorno, e insieme di trovare il punto preciso dove tagliarla e trovare infine la semplicità – che, per inciso, non è né caso né ingenuità, ma vero valore.