Cucina giapponese (1) : OYAKODON 親子丼

Il calendario accademico di quasi tutte le università si è concluso ed io ho affrontato le mefistofeliche prove di ingresso al dottorato. Infine libera di essere e di fare mi dedico al mio 8 che in questi mesi si è preso cura di me nel modo più assoluto. Ora tocca a me. Ed inauguro così, per motivarmi ancor di più e per far sì che il mio tempo in cucina sia utile anche ad altri, le mie lezioni di cucina giapponese casalinga 日本家庭料理.

Vige, come in molti – moltissimi – casi della vita, il principio per cui la cucina non sia una ma tante, tante quante sono le famiglie d’ogni paese. La mia è quella dei libri che ho acquistato, delle lezioni dei programmi della NHK e della mia tenerissima suocera.

Vi segnalerò sempre la ricetta esattamente come viene indicata ma vi proporrò anche le mie personali varianti dovute ai gusti di chi scrive e dell’8 che le loda indistintamente e le fotografa ancora a distanza ormai di anni. Essendo lui di parte (quella giusta, indubbiamente ♥) chiedo spesso la consulenza di amiche giapponesi. Quella che vado a presentarvi oggi, nello specifico, ha avuto il nulla osta di Miwa.

Non abbiate timore di modificare, in ogni caso. Il piatto perfetto non esiste.

INGREDIENTI (per 2 persone):

– Coscia di pollo・・・1/2
– Cipolla・・・・・・・1/4
– Uova・・・・・・・・・2

A:
Dashi・・・・・・・・・・・150 ml
– Salsa di soia・・・・1 cucchiaio
– Mirin*・・・・・・・・・ 2 cucchiai
– Sale・・・・・・・・・・1/2 cucchiaino
*mirin = sake’ dolce da cucina

Mitsuba・・・・・・・q/b
– Riso・・・・・・・・・2 tazze


PREPARAZIONE:

Tagliate la carne in pezzetti da 2 cm l’uno e la cipolla a fettine sottili. Tagliate inoltre qualche ciuffo di mitsuba e sbattete bene le uova fino a creare un liquido omogeneo.

COTTURA:

*Per una perfetta riuscita scenica del piatto è bene preparare l’oyakodon in una padellina tante volte quanti sono i commensali. In questo caso, pertanto, dovrete dividere a metà gli ingredienti e cucinare il tutto due volte consecutive. Non avendo personalmente un’inclinazione spiccata al masochismo cucino il tutto in un’unica grande padella il che, vi assicuro, non determina in alcun modo la buona riuscita del piatto. Qui, pertanto, le strade tra perfezionisti masochisti e frettolosi disfattisti si dividono.

1. Mettete A nella padella e quando inizierà ad incresparsi la superficie del liquido inserite i pezzetti di pollo e la cipolla tagliata sottile facendoli cuocere a fuoco medio.

2. Quando vedete mutare il colore della carne, il suo volume diminuire e la cipolla appassire spegnete il fuoco. A questo punto versate il liquido delle uova sulla superficie in modo omogeneo e applicatevi sopra la mitsuba tagliata precedentemente.

3. Coprite con il coperchio e lasciate il tutto così per qualche minuto.
*Nel caso il calore si fosse disperso vi consiglio di lasciare il fuoco al minimo per qualche minuto onde evitare di ritrovarvi con una brodaglia. Togliere e mettere il coperchio per spiare l’appassimento della
mitsuba e la solidificazione leggera delle uova non è consigliabile. Non siate troppo curiosi e lasciate qualche minuto di pace ad entrambi. Non fate d’altronde l’oyakodon divenire un frittatadon quindi evitate di lasciar cuocere il tutto eccessivamente. Deve trattarsi di una superficie cremosa e vagamente solida con un po’ di brodo extra che andrà ad insaporire il riso.

4. Togliete il coperchio (come sennò?) e versate il contenuto della padella/padellina sulla ciotola di riso che avrete precedentemente bollito. Ed ecco fatto! 出来上がり~


*Personalizzazioni:

– Io al posto di 1/4 di cipolla ne inserisco 1 intera. Ho notato che altrimenti il brodo risulta essere eccessivo. Inoltre metto non 2 ma 4 uova. Trattandosi di un piatto unico ed avendo aumentato gli ingredienti ci stanno bene assai. 🙂
– Attendo vostre indicazioni sulla reperibilità degli ingredienti nei negozi italiani e indicazioni, altrettanto preziose, su come sostituirli per tirarne fuori una variante vegetariana. Il vostro aiuto è fondamentale!
– A questo proposito Anna Lisa del bellissimo sito Biblioteca Giapponese ha già reperito per noi la variante vegetariana, per la precisione una vegana disponibile a questo indirizzo. L’autrice, ci spiega Anna Lisa, sostituisce il pollo con il seitan e il dashi con un brodo di verdure. Grazie mille! ♥


いただきまーす~Itadakimasu!

「忙しい」 o della morte del cuore.

La prima volta fu la mia mamma giapponese a spiegarmelo.

Eravamo al cellulare, ero sposata da pochissimo e le raccontavo dei nuovi incarichi all’università, della pubblicazione della tesi di master e del romanzo che stavo scrivendo.
Ero affaticata e sentivo il bisogno di parlarne.

Faceva un gran freddo e ricordo ancora la minuscola stradina di Kichijoji in cui in piedi davanti ad un distributore di bevande, osservavo le lucine colorate dei pulsanti. Tutto intorno una catasta di biciclette parcheggiate un po’ a casaccio.


“Laura, lo conosci il significato dei kanji della parola isogashii?”
, mi chiese.

E continuò subito dopo con quella spiegazione che mai più avrei dimenticato.

Il significato della parola “occupato”,“impegnato” che si apprende presto in giapponese e che, così compatta, rimane nella mente.
E nel brusio della vita di quella stradina di Tokyo, un ristorante di ramen a poca distanza, un negozietto di magliette coloratissime più giù, la voce della mia mamma giapponese mi chiedeva di scomporre la parola nella mente.

Perchè 「忙」 sono sei tratti, due coppie da tre segni ciascuno. Ed è così, nel sezionarli, che il vero significato, quello originario viene fuori in tutta la pienezza.
Dentro a questo carattere, infatti, due concetti si tengono per mano.
C’è il cuore 「心」 sulla sinistra cui, subito a destra, segue la sua sparizione, la sua morte 「亡・くす」. 心を亡くす=忙しい

Ed è così che essere impegnati, occupati “isogashii” (忙しい) significa perdere il proprio cuore, far morire la propria anima.
La morte del cuore.

Ed è nello spiegarlo che i giapponesi consigliano riposo, svelando come nel linguaggio, insito proprio in fondo ad esso, vi sia anche l’avvertimento. Che nell’eccesso di lavoro, di studio, nel troppo tempo impiegato in altro dalla cura di sè il rischio è alto. Che non bisogna sottovalutarlo. Che non bisogna dimenticarsi di sè. Che nel vortice del tutto si perde l’essenziale.

E’ la morte del cuore.

*In fotografia le cose piu’ importanti della mia vita. Ryosuke, la Gigia e… Tokyo. (fotografia scattata giorni fa dallo stesso grattacielo)

I bimbi e la neve (二)

Ieri, passeggiando per Shinjuku di ritorno dall’osservatorio del Tokyo Metropolitan Government Building, mi sono ritrovata nella zona di Southern Terrace.

Basta oltrepassare il ponte che sovrasta l’imponente nodo ferroviario e ci si ritrova da Tokyu Hands e, continuando sulla destra, si arriva all’immensa libreria di Kinokuniya.

Capita spesso a Tokyo di vedere bimbi portati al pascolo dalle maestre, i cappellini coloratissimi con le visiere, le faccette eccitate, spesso trasportati in grossi carrelli rettangolari.

Ieri, a Shinjuku, avevano invece secchiello e paletta. Ed erano in cerca di neve.
Le maestre li guidavano, e loro riempivano i contenitori, tutti quanti con un pandino stampato sopra. ❤

Un giorno spero di poterci portare anche la mia nipotina Livia e farle vedere la neve che, ogni anno, “visita” Tokyo.

I bimbi e la neve (一)

Quanti bimbetti ho visto in queste ore giocare con la neve. Emozionatissimi stringevano la mano della mamma o del papà. Perchè oggi a Tokyo si scivolava.
La neve copiosa di ieri notte s’è fatta ghiaccio e tutti, un po’ arrancando, procedevano circospetti. Anche se, con mia grande sorpresa, indossavano quasi tutti le solite scarpe.

Solo i bimbetti avevano gli scarponcini ai piedi. Per non scivolare.
Le ragazze con i tacchi, invece, sono rimaste così. Con i tacchi. Solo più caute del solito nei loro passi.

゚・。゚ Neve su Tokyo ゚・。゚

i campi e i monti /

sottratti dalla neve /

è il nulla.

Naito Joso 内藤丈草

.
A Tokyo nevica. Grossi fiocchi che rendono bianco l’orizzonte.
Dalla finestra si vedono i tetti divenuti un tutt’uno con il colore dell’aria e tra lo sguardo e il paesaggio neve che cade.

La neve ammorbidisce i contorni di Tokyo.
La rende più uniforme, lì dove il fascino di questa città risiede proprio nella diversità, nel non essere mai, fino in fondo, omogenea.

Una vista affascinante.

In un giorno duro, durissimo come questo, attendevo un regalo.
Un attimo di gioia. E grande è stata l’euforia uscendo di casa con la macchinetta fotografica in mano.

Ci voleva, ci voleva proprio.