Alcuni luoghi esistono solo in certe ore
«Alcuni luoghi esistono solo in certe ore.
Sugli oggetti che quei luoghi contengono cade la stessa luce, su una sedia una certa curva d’ombra. Come la cucina che spesso vive unicamente nell’ora dei pasti, nelle azioni che sono corollario del cibo, della sua preparazione: per chi viene servito non esiste invece affatto. Nella notte essa si trasforma in un luogo misterioso, privato infine dei suoi scopi, senza cibo ad alimentarne l’utilizzo. Il fischio del frigorifero, di giorno inesistente, si fa sinistro, e si carica del tempo dell’insonnia, delle ore naturalmente inoperose che andrebbero dormite.
Alcune città le si ricorda solo in certe stagioni.
Località balneari visitate in estate, dove tutti indossano il costume da bagno, ampi parei a righe o a sgargianti fantasie, dove ciabatte e sandali di legno sbattono sonori sull’asfalto e si va ad acquistare al forno la focaccia o tranci di pizza da sbocconcellare sotto l’ombrellone; paesaggi di barche attraccate al porto e altre al largo, da ammirare affacciati dal chiassoso lungomare come macchie all’orizzonte, chioschi colorati che vendono sempre e solo granite, gelati e bibite ghiacciate. Lì non vi abita il freddo, nessuno indossa mai maglioni, cappotti o scarpe imbottite, le foglie non mutano colore né s’abbandonano alla via, il silenzio non abita il lido e da questo sale invece costante la musica rimbombante della gioia, dello svago, le grida dei bambini, il rumore secco dei racchettoni, le voci cantilenanti dei venditori ambulanti, gli unici che non esibiscono la pelle e non partecipano all’allegria della stagione.
Accade anche quando si transita in certi quartieri solo di giorno, magari per lavoro, e che poi una notte si scorgono di sfuggita in macchina e li si trova spaventosi, pieni di dettagli, come se si inforcassero un paio d’occhiali che rivelano d’una vita tutta la miseria.
Alcune persone vivono solamente in certi ruoli.
Hanno un unico volto, una determinata espressione e lì si cela tutto quello che ci serve per attribuire loro un posto nel mondo. Non ha senso cercarle altrove rispetto a dove le ricordiamo, si rischierebbe di donare loro uno spessore che non hanno. Così l’avventura di una notte resta limitata a certe ore, di sesso appassionato e di promesse, parole imprevidenti d’un amore che avrebbe bisogno di più tempo, d’altri incontri che però non seguiranno. Potremmo incontrare quel volto d’amante in treno nella folla mattutina, al bancone di un bar mentre consumiamo un cornetto e un cappuccino, e rimarremmo sconvolti da lineamenti che sapevano di notte ma che ora, nella luce impietosa del mattino, si sbriciolano come vampiri al primo sole.
In questa storia, che è forse già accaduta o sta per accadere, che si trascina dietro due paesi, la Roma di un uomo che si cerca e la Tōkyō di una donna che lo trova, vi è la passione degli incontri, il desiderio di sperimentare a fondo la parzialità dell’esistenza.
Si tenterà di raccontare.»
da “Prologo”, Non oso dire la gioia, Edizioni Piemme, 2018