filosofia

謙虚 o della modestia

DSC06285Fu un dramma la modestia. Non tanto quella del sentire, quanto quella del dire.

“Io so fare, io so dire, io ho studiato, io sono questo e sono quello, io ho, io avrò”

Tanti io che, bilanciati, in effetti spiegano chi siamo, cosa ci appartiene o vogliamo ci appartenga.

Un tempo mi sembrava ovvio, giusto, raccontare all’altro il mio valore, soprattutto perchè ostacolato da una lingua che non parlavo ancora bene. Tutto in me, del resto, era filtrato da quell’handicap importante.

A distanza ormai di anni, ripenso alla me ventunenne e poi ventitreenne che giunse in Giappone per la prima e poi per la seconda, definitiva, volta, al perchè raccontarmi in positivo fosse per me tanto importante.

È perchè, in fondo, ci si sottovaluta, non si crede di poter essere, senza dirlo chiaramente.

Mancava la parola e per me, che alla parola affido la parte più autentica di me, era fondamentale esprimermi in qualche modo. Eppure, a ben vedere, la sola parola non convince in fondo l’altro, tanto che alla me stessa di quel tempo io direi piuttosto: “Sei una persona di valore? Più lo gridi, meno lo sarai”.

In Italia, in Europa forse sarebbe sbagliato il contrario. Scortese il non dire, buttando addosso all’altro la responsabilità dell’intuire, del capire chi noi siamo. Ma i giapponesi hanno un modo differente di spiegarsi e il non dire equivale, per molti versi, all’essere davvero. All’essere in modo genuino.

DSC06351“Se non mi dici non lo so. Il tuo comunicare è l’inizio del mio ascoltare e del capire. Se mi dici bene io ti crederò”, sembrano dire gli italiani.

“Non c’è bisogno che mi dici, io cercherò di capire. Se dici, e lo dici forte, io avvertirò invece vanità. Non un essere ma solo un mostrare” dicono i giapponesi.

E non c’è ragione di paragonare in termini di giustezza o di errore. Ogni angolo di mondo ha il proprio modo di spiegare. Chi sa accettare un diverso culturale, sono certa sia in grado di accogliere anche un differente da sè, in senso personale: un amico dal carattere opposto, un genitore originale, un figlio che non condivide quel che siamo, individui con un credo politico, una scelta sessuale, sportiva o alimentare che non ci appartiene.

DSC06293謙虚 /kenkyo/, “la modestia” significa innanzitutto rimanere concentrati in sè, sulla parte più autentica e stabile che ci racconta a bassa voce chi siamo e chi potremmo diventare. È non aver fretta di schiudersi, ma godere del calore del bocciolo, perchè la tempistica in botanica, in cucina, in amore e nel contatto stesso con il mondo, è cruciale.
謙 /ken/ è un abbassamento di se stessi, che è anche rispetto per l’altro. 虚 /kyo/ è il nulla, l’assenza di passioni.

È un concetto così difficile da apprendere. Eppure aiuta. Non solo a comunicarsi al meglio ma, in primis, a diventare più sicuri di sè. Perchè se il nostro valore è vincolato al manifestarlo, sarà sempre asservito alla reazione di un interlocutore, all’attenzione che egli dispenserà. All’effetto che causeremo su un qualunque altro.

E poi serve anche a ridimensionare la superbia di certi individui che irrompono nella nostra vita e che, dall’alto di una qualche (spesso misera) posizione, cercano di farci sentire inferiori.

DSC06329「偉い人は偉そうにしない。偉そうな人は偉くない。」
“Le persone di valore non si credono più degli altri. Le persone che si credono più degli altri non sono di valore.”

 È una frase che mi disse Ryosuke anni fa e che ho finito per fare mia.

Tutto si gioca sul termine 「偉い」 /erai/ che come aggettivo significa “di valore” e lo stesso termine piegato al sembrare 「偉そう」 /erasou/ che non è più un essere di valore, ma un volerlo sembrare, credercisi, tanto da guardare tutti dall’alto in basso.
Ne ho incontrate tante, sia in Italia che in Giappone. Di persone che, qualunque sia la loro posizione, trattano gli altri con disprezzo e alterigia. Creature di cartapesta, invero, che la punta di un dito, con una lievissima pressione, smaschera all’istante.

DSC06226L’importante, veramente, è scoprire chi siamo noi. Conoscerci.
Saperlo ci renderà più chiari agli altri di quanto non farebbe qualunque pubblica dichiarazione.

Siamo, e questo basterà.

 ♪ SEKAI NO OWARI, Dragon night

Il Giappone e il kawaii (・ω・)

   Quanto si è grati all’infanzia? A quel periodo che si ciba dell’entusiasmo per le cose belle, tutte, anche e soprattutto quelle che significano poco per gli adulti.
Ho ricordi difficili di quando ero bambina. Nulla, mi sembra, mi sia mai scivolato tra le dita come acqua, che passa e lascia mani pulite e un senso di freschezza. Non era cosa semplice e non poter possedere peluche per una forma d’asma che mi rendeva allergica a qualunque cosa chiamasse polvere, credo che non aiutasse. Ma, anche se con ritardo, il desiderio di bambina si e’ realizzato.
Qui, nel paese del kawaii, mi rifaccio di tutto cio’ che negli anni mi e’ mancato. Kawaii、 可愛い、 かわいい、 カワイイ.

  La nostalgia dell’infanzia, pupazzi dalle orecchie indurite dalla saliva e dalle carezze scattose dei bambini, le merende che sole riempiono un pomeriggio, nel desiderio che le anticipa e nella gioia sciupata della fine, Natale e la Befana, i giochi che anche a ripeterli non perdono un grammo di bellezza. Il respiro della sorpresa, i sorrisi che – a priori – ti rivolge la gente come se fossi “giusto”, come se fosse un obbligo volerti bene; gli anziani, soprattutto, che in quel periodo ritrovano in te la gioia di una vita che volge alla fine, ti guardano come a condividere un briciolo della vita, invece, che per te sta ora iniziando.
E poi le cose dolci e pucciose che migliorano l’umore. La mancanza di conseguenze, in un rapporto misericordioso di causa effetto che immette al centro la possibilità che qualcuno risolvi il tutto per noi e nella speranza che non ce lo faccia pesare.

  In Giappone sono tornata bambina. Sul camion che rifornisce il kombini stampano verdure, cartoni di latte, frutta e pane con gli occhi, la bocca e tutto il resto, creature che s’animano e che sembrano viaggiare su un minibus della scuola. Il pacco della posta ha su disegnato il gatto Jiji cui Miyazaki Hayao ha dato un nome e ha messo nel suo film “Kiki’s Delivery Service”. Vivo vicino a una casa con il tetto d’erba, i tombini che disegnano paesaggi di ciliegi o pompieri volenterosi pronti a spegnere ogni incendio; accendo la tv e le previsioni del tempo hanno soli, lune e nuvole con la tristezza in faccia o il buonumore. I messaggi al cellulare, anche da un esimio professore, capita che arrivino decorati da faccine. Le email da amici e familiari piene di animazioni deliziose. Alla fine del telegiornale vi è sempre un angolo dedicato alle cose più leggere e curiose, come per risistemare l’umore dopo i fattacci. Il buonsenso poi dosa tutto, come un cuoco una ricetta.

   Il kawaii e’ parte d’ogni cosa, anche la piu’ seriosa. Avvicina l’estraneo, fa sorridere chi ha occhi per vederlo. Sono dettagli che s’ingrandiscono a macchia d’olio. Danno una scusa in piu’ per godere dei pezzetti di vita che ci sono stati dati.
Ho d’un tratto smesso di guardare questo mondo colorato con la superbia dell’adulto che nel solo bianco e nero trova l’essenza di tutte le tonalita’. Non c’e’ da essere impostati, da fingere di non amare più qualcosa perchè “è da bambini” e che quindi sembra obbligatorio dover escludere dal pacchetto “maturità”.

  Due weekend fa a Koenji siamo andati a vedere un piccolo torneo di wrestling tra pupazzi. Non quelli piccini che riempiono un pugno, bensì quelli che neanche le braccia possono interamente circondare. Una gioia contagiosa che muoveva come onde gli spettatori tutti intorno. Sono spiritosi i giapponesi. Amano ridere e hanno una soglia del ridicolo che è più generosa della nostra.
Loro ammirano la nostra eleganza, le nostre figure disinvolte e sicure, noi impariamo da loro quanto poco sia sbagliato gioire delle tenerezze.

  Ed ecco che il pupazzone con la testa tonda tonda affronta un altro a forma di portafogli che si muove piano piano per non inciampare. Gambe piccinissime le sue. Un leone si muove tra la folla delle fans degli L’Arc-en-Ciel, il gruppo di cui  il kyarakuta e’ la mascotte, e le ragazze in questo sistema kawaii partecipano dello stesso desiderio indossando mascherine con il faccino giallo ed i baffi lunghi da felino. Un gagliardissimo orso che dopo poco si trasformera’ coinvolge un sorvegliante che, preso dall’entusiasmo, ride anche lui come un bambino. Un delirio in multicolor.

  Il nome e la forma di questi pupazzi, chiamati in giapponese kyarakuta, seguono una logica legata alla zona/società che rappresentano, alle caratteristiche fisiche, alle mosse “segrete” che fanno e vengono sempre presentati in modo buffo e spiritoso. Alcuni si muovono pian pianino, agitando quel che possono agitare, altri invece sono scalmanati e scatenano l’ilarita’ generale. La maggior parte di loro ha un portavoce che risponde alle domande.
E un coro di “kawaii!!!” dalla folla ringrazia della positività ricevuta. Nel pubblico soprattutto adulti, altro che bambini.

  Il kawaii è l’amuleto del buonumore. Ognuno ha il suo, la percezione propria di ciò che fa scaturire tenerezza.
E’, per me, la scusa per un sorriso in piu’. La cura per ogni nonnulla della vita.

Del kawaii e del "Diamoci la mano"

Lunedi’ scorso, nell’antica giocattoleria di Ginza, sotto al bancone delle casse, ho trovato attaccato questo poster, stranamente pieno di キャラクター (personaggi) giapponesi, francesi, tedeschi, russi ecc. che si possono trovare praticamente su ogni gadget per bambini e per adulti con il senso del かわいい (kawaii, carino).

Il Giappone e’ famoso per la suddetta filosofia che spesso stupisce e confonde gli stranieri che prendono i giapponesi per eterni bambini, adulti con un che di infantile. Personalmente ho cambiato opinione con il passare degli anni. Prima ne ridevo (ed ogni tanto, lo ammetto, ne rido ancora) ma senza piu’ il peso del giudizio.

Aggiungere qualcosa di grazioso alla vita quotidiana, piccolezze che strappano un sorriso, credo sia assolutamente delizioso. Mi stupisco, piuttosto, di chi considera il mondo degli adulti necessariamente separato da quello dei bambini. Creando una profonda cesura tra l’eta’ adulta e l’infanzia ho l’impressione che ci si perda qualcosa.

Tornando al poster, comunque, quando sono tornata a casa mi sono collegata al sito internet segnalato in basso a destra sull’illustrazione e ho scoperto che, nonostante di solito tra i vari personaggi e mascotte vi sia una forte competizione, per dare coraggio ai bimbi e riportare loro il sorriso dopo la tragedia dell’11 marzo, tutti si sono dati la mano ~~~ Da questo concetto, dell’unione e della collaborazione e’ nata questa iniziativa.
Il titolo del poster, infatti e’ 「てをつなごう」 “Diamoci la mano”.

Sul sito web (http://www.teotsunago.com/) e’ possibile scaricare i poster in varie dimensioni, leggere i messaggi di incoraggiamento e trovare importanti link per le donazioni. Le indicazioni sono sia in giapponese che in inglese ^o^
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E voi, del “kawaii” cosa ne pensate?
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