joseph roth

Due acquisti in libreria e il verbo "tanoshimu" 楽しむ

Passo in libreria per andare ad acquistare un libro e arrivo con il doppio dei volumi alla cassa. E’ l’inconveniente dell’avventurarsi in un giorno di pioggia nell’antro del lupo. Ognuno ha il suo, che siano lupi, draghi, orsi o ciclopi.

Io ho le librerie e un negozietto d’abiti a Shinjuku in cui faccio in modo da non recarmi mai più di una volta ogni cinque, sei mesi. Perchè la gioia dell’acquisto sia piena e non si sciupi nel senso di colpa.

Uno dei due libri che ho acquistato è una lista di suggerimenti, presentati con graziosa gentilezza, su come riuscire a svegliarsi presto la mattina. Personalmente se il periodo dell’università è coinciso con una presa di distanza dal tempo e dalla vita ortodossa – studiavo e vedevo gli amici di sera e di giorno dormivo – l’arrivo in Giappone, le lezioni fitte fitte la mattina e poi successivamente l’inizio del lavoro mi hanno portato ad invertire le cose. Ed ora che la vita va veloce vorrei riuscire ad anticipare di un’altra ora la mia sveglia. Non le sei quindi, ma le cinque.

E rileggendo, a distanza di anni, “La cripta dei Cappuccini” di Joseph Roth ho fermato nella mente questa scena che racconta proprio dello svegliarsi presto la mattina e ne descrive perfettamente la sorpresa, la meraviglia che prova chi non vi e’ abituato.

[…] ero giovane e sciocco, per non dire: sconsiderato. Frivolo, in ogni caso. Vivevo allora per così dire alla giornata. No! Non è esatto: io vivevo alla nottata; di giorno dormivo.

Una mattina però – fu nell’aprile del 1913 -, rincasato da appena due ore e ancora intontito dal sonno, mi fu annunciata la visita di un cugino, di un signor Trotta. In vestaglia e pantofole andai nell’anticamera. Le finestre erano spalancate, in giardino i merli mattinieri fischiavano con zelo e il primo sole inondava allegramente la stanza. La nostra cameriera, che fino a quel momento non avevo mai visto così di buon’ora, nel suo grembiule blu mi parve una estranea – io la conoscevo solo come un essere giovane, fatto di biondo, nero e bianco, qualcosa di simile a una bandiera. Per la prima volta la vedevo in una veste blu scuro, simile a quella che portavano i meccanici e i gassisti, con uno spolverino vermiglio in mano – e la sola sua vista sarebbe bastata a darmi una nuova, inusitata immagine della vita. Per la prima volta, dopo anni, vidi il mattino in casa mia e mi accorsi che era bello. La cameriera mi piaceva. Mi piacevano le finestre aperte. Mi piaceva il sole. Mi piaceva il canto dei merli. Era dorato come il sole di primo mattino. Perfino la ragazza in blu era dorata, come il sole.

Esco dalla libreria che cadono solo poche gocce di pioggia e le sento battere sul guscio dell’ombrello. Un rumore croccante come quello del pluriball (l’imballaggio ammortizzante) che la mamma di Ryosuke adora schiacciare tra il pollice e l’indice e che Ryosuke adora arrotolare e far scoppiare tutto in una volta – con grande disapprovazione della madre.
Avvolta da questa sensazione d’acqua, scoppiettii e gioia dell’acquisto decido il percorso verso casa, che sia – anche solo di poco – ogni volta differente.

Una cena gustosa mi attende.  Mi lodo nell’esser stata virtuosa e soprattutto previdente ad aver preparato ieri l’80% del pasto che consumeremo oggi. E dato che l’altro libro acquistato stasera parla di nutrizionismo e suggerisce con parole e semplici tabelle come rendere più bilanciata l’alimentazione, trovo nella cena di stasera un divertimento in più.

Esiste in giapponese un verbo 楽しむ tanoshimu che è molto vicino all’inglese “enjoy” e che  in italiano sembra mancare. Lo si traduce come “godere” o “divertirsi”, verbi troppo intensi e che, mancando di un complemento oggetto diretto, sembrano distanziarvisi. E invece è così facile. E questo verbo dà la possibilità di esprimere il piacere nel fare ogni cosa, anche la più semplice, con pienezza: una cena bilanciata, una conversazione, il giardinaggio, una passeggiata con il cagnolino, il silenzio delle cinque di mattina, la sana bontà di un pasto in solitudine e di uno fatto in compagnia. E così via.

楽しむ tanoshimu, una di quelle parole che più mi mancano quando parlo in italiano.