Il coniglio in bicicletta
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Saliamo in bicicletta sotto il sole bollente dell’una e attraversiamo strade, percorsi nascosti alla vista di chi sceglie la via maestra, il lungo fiume nelle cui basse acque s’agitano anatre e bianche gru, il verde di campi coltivati, ripidi sentieri che s’aggrappano per salire o per scendere.
Attraversiamo il tessuto narrativo di questa città piena di storie.
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Ci rincorriamo in bicicletta, io mi fermo a scattare qualche foto e quando possiamo allunghiamo una mano e ci stringiamo forte il palmo. Io che guido sempre a sinistra, lui a destra. La gente una volta ci guardava, chissà se lo fa ancora adesso. Sono io che non la guardo più, tanto sono immersa in Ryosuke e nella strada che si apre davanti a noi.
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Mi ha detto una cosa a letto stamattina, di quelle che non scordi più. Lo ha fatto come sempre nella sua lingua che è madre e padre dei suoi gesti. Nel giapponese che, per me, è pura sensualità per il suo differenziarsi da uomo a donna.
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Poi, sulla via del ritorno, dopo una soba deliziosa, una chiacchierata che ci voleva proprio, baci che sanno di sale e bottigliette di tè comprate e già scolate davanti al kombini, ecco che lo vedo.
E tanto è inaspettato che rischio di non accorgermene neppure. Ma lo vedo. Eccolo.
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Il coniglio in bicicletta.