Il Museo dei Parassiti su Radio Rai 3 Scienza

Trovate il link all’intervista in cui, condotta dalla meravigliosa voce di Rossella Panarese, racconto del Museo dei Parassiti di Meguro, a questo link.

Un luogo che adoro narrato ad una Radio che venero. Grazie~♥

 


Della tenerezza

Sii dolce con me. Sii gentile. È breve il tempo che resta. Poi saremo scie luminosissime. E quanta nostalgia avremo dell’umano. Come ora ne abbiamo dell’infinità. Ma non avremo le mani. Non potremo fare carezze con le mani. E nemmeno guance da sfiorare leggere. Una nostalgia d’imperfetto ci gonfierà i fotoni lucenti.

Mariangela Gualtieri

 

Musica dolce che mi libera dal pianto di Emilio. Ho bisogno di mettere =Pausa= nel basso continuo della vita.
Due cuffie premute a forza nelle orecchie ed io che scivolo nel mondo di parole, lo schermo del computer la cornice di tutto quel mondo.
Fuori da questa bolla di luce, nell’altra stanza con la porta scorrevole che sta spalancata per non filtrare la corrente, la figura di Ryosuke, in maglietta e boxer, dondola lento, al ritmo d’una musica altra che però pare sincronizzata con la mia.

Sul suo petto questo piccolo uomo che s’allunga, le gambe a ranocchia e le braccine piegate, il capo sostenuto dalla mano del padre, schiacciato sul petto come a udire quella melodia ancora altra che è il cuore che pulsa.

E nel cullarlo, il mio giovane meraviglioso marito pare ballare, esprime la cedevolezza del corpo e insieme la presa ferma sul neonato che è abbandonato, nel peso aumentato della fiducia.

Sousuke è ancora all’asilo, giocando a chi tira fuori dal terriccio una rapa, attaccandosi a un altro e ad un altro ancora. 「かぶを引っ張る~」

“È un bambino molto dolce” mi dicono talvolta le maestre. “Se un altro bambino piange lo va a consolare, gli offre i suoi giochi, gli poggia la manina sul corpo, come a rassicurarlo d’una vicinanza

E poi mi narrano tra le tante altre cose di timidezze, di un pianto improvviso, della voglia di partecipare ma ancora di una certa reticenza nel prendersi quanto vorrebbe. E’ l’età, è tutto normale.

E nelle parole di mia suocera scopro che “quando è al parco e vorrebbe salire sullo scivolo e qualcun altro lo sta usando, invece di avvicinarsi e inserirsi, sta zitto, guarda da lontano tutto chiuso nel guscio, attende infine che l’altro si allontani per salirci”.

A casa è pieno di iniziative, si impone – pena il pianto – in grandi e piccole cose. Fissazioni di bambini. Ma fuori pare cedevole, non è prepotente.

 E penso, in un doppio salto carpiato, al mio bimbo in futuro, e nel futuro prossimo in Italia. Me lo figuro ad affrontare altri bambini, più energici, decisi nel desiderio che realizzano senza troppe smancerie.

Il primo impulso è la paura.

Ma perchè? Perchè devo avere paura?

Perchè preferisco per mio figlio la prepotenza alla tenerezza?

Trovo nel sentire contemporaneo, nell’Occidente che resta la mia prima radice, una smaccata sopravvalutazione del cinismo, inteso erroneamente come sinonimo di perspicacia. L’intelligenza più quotata quella che sveste, denuda, si impone con violenza.

 È l’ironia affilata, l’arguzia che umilia quella che si fa dimostrazione d’una intelligenza superiore, come se nel disprezzo per un terzo si esprimesse la forma più acuta del pensare. La dolcezza, d’altronde, è confinata al domestico, al familiare, a quella trama di rapporti intensi ma socialmente inermi che non richiedono nè merito nè acume.
Ed ecco che si finisce per temere la cedevolezza in un bambino, il non sapersi imporre nella conquista dei giochi. Lo si vorrebbe prepotente piuttosto che remissivo. Si teme per lui, per la sua riuscita.

Eppure se è una società potenziata nel bene quella cui si anela, è forse più saggio contribuirvi con la dolcezza piuttosto che con la tracotanza, con l’imperio.

“E oltretutto, chi ci assicura che crescendo quel carattere forte non si sgretolerà, che verrà anche più apprezzato di uno garbato e riflessivo?” diceva giorni fa in tv una psicologa giapponese.

 Leggo La tenerezza, rifletto. Annuisco. Mi do flebili risposte.

Chissà allora che la delicatezza invece non risulti la scelta migliore, perchè più flessibile, capace d’adattarsi alle repentine variazioni dell’esistenza.
È un mondo che cambia, che cambia di posto, di faccia, che si mescola a fronte di resistenze, che oppone un forte senso di esclusione all’inclusione che comunque è alla base del genere umano, per quanto la si neghi.

È un progetto comune questo, non riguarda solo mio figlio. 

La società civile, al di là dello spirito di solidarietà che pure sarebbe doveroso, deve oggi rendersi consapevole che per salvare i propri figli bisogna salvare i figli degli altri, non fosse altro che per evitare il “rischio contagio”. (Melita Cavallo, Si fa presto a dire madre)

  Ho impiegato moltissimo tempo a scrollarmi di dosso il pregiudizio, la visione negativa che avevo della debolezza, l’idea che esercitando la tenerezza si stesse mostrando il fianco al nemico. D’impulso quasi mi dava la nausea. La disprezzavo negli altri perchè la avvertivo dentro di me, in un gioco di specchi che ci vuole intolleranti al simile tanto quanto al diverso.

È la mancanza di fiducia nell’altro che ci fa fingere d’essere sempre capaci, risoluti, determinati.
L’indecisione ci fa sentire sguarniti, a rischio. 

“Il criterio che consente di riconoscere che in un determinato luogo i bisogni degli esseri umani sono soddisfatti è il fiorire della fraternità, della gioia, della bellezza, della felicità. Là dove vi è ripiegamento su se stessi, tristezza, bruttura, ci sono delle privazioni da guarire.” (Simone Weil, Dichiarazione degli obblighi verso l’essere umano)

Quanto aveva ragione questa donna illuminata. La gentilezza e l’altruismo dovrebbero essere sintomi d’un vivere superiore, non occasione di sopruso, motivo di scherno.

E non importa che l’altro sia bello d’aspetto o spiacevole invece, non conta l’età che ha scritta sul corpo, nè il gomitolo di relazioni che ci legano gli uni con gli altri: si deve rispettare senza eccezioni il seme da cui nasce e cresce ogni essere umano. Perchè “Colui agli occhi del quale importa soltanto lo sviluppo della persona ha perduto totalmente il senso stesso del sacro”.

 È lì, nel rispetto a prescindere, senza scuse nè appigli, il senso del rispetto. Perchè l’intelligenza resta “quella parte del cuore che grida contro il male”.

 Ho letto voracemente Simone Weil ad agosto, in ogni sonno di Emilio, in ogni suo sogno, ed il mondo, nella prospettiva di questa splendida donna, mi è parso un giocattolo stupefacente, ma ampiamente, e da sempre – e d’ora in poi – da migliorare.