La storia migliore della mia giornata sono un anziano e una pallina

 La storia migliore della mia giornata sono un anziano e una pallina.

 L’anziano non lo conosco, la pallina era verde. E, a distanza di un giorno, ancora non conosco l’anziano e la pallina è sempre verde, forse un po’ più consumata di prima.

 Stavo passeggiando per Kamakura in questo mercoledì di oceano e di sole, ascoltando voci, a mia volta registrando vocali fiume.

 Ed ecco questo anziano ingolfato per il freddo che procede lungo la strada, in una passeggiata che immagino quotidiana come quella della sottoscritta. Si ferma. Una pallina verde (quella) poco dentro la strada, ma di chiara appartenenza altra. Con la punta della scarpa l’ha spinta verso l’interno della rientranza – uno spazio dedicato probabilmente a parcheggiarvi una bicicletta. Ma il terreno era scosceso e, per quanto calciasse la sfera, quella tornava alla strada. E poi alla scarpa, che riprendeva a spintonarla, come un corpo a Tōkyō nella calca di un treno all’ora di punta, che oscilla e torna di peso su un altro e a intervalli ritorna.

Il movimento dell’anziano si è fatto vivace. L’occhio pure. C’era l’attesa, mi è parso, che tornasse la pallina alla strada e che lui la potesse colpire di nuovo.

 L’ho fotografato di spalle, per non cancellarne la memoria. E girandomi a guardarlo, a intermezzi sempre più ampi, finché non si è curvata la strada, era ancora lì. Ad avere a che fare con la pallina e la sua attesa.

 Era bello da vedere. Il bambino che sale. Come un cibo non digerito, che torna (piacevolmente) su nel sapore.

 Spesso mi domando cosa succeda quando si dismetta la fretta. Quando si sia già vissuta la vita nel modo in cui si intende la vita, ovvero gli impegni, il mirare ansioso e ingordo verso qualcosa. Mi domando se non sia saggio, prima di invecchiare, iniziare a dedicarsi porzioni di vita senza obiettivo.

 Fare dell’inutile una quota del giorno, scoprire come sia abitare il corpo, guardare il mondo – senza volerlo possedere neanche per errore.

 Altrimenti, a pensarci, del tempo mi viene paura.

 

Libertà e voglia di cambiare. I Quaderni giapponesi di Igort su Domani

Oggi su “Domani” la mia lunghissima recensione dei bellissimi “Quaderni giapponesi 3” di Igort.
Uno studio, peraltro, di un periodo storico che strappa la regola al Giappone. La trasgressione, gli incidenti d’amore, la morbosità e le somiglianze stupefacenti tra il periodo Taishō (1912-1926) e l’oggi.
Ho letto tre libri per documentarmi a fondo, tra cui uno che raccoglie le domande che le persone rivolgevano per iscritto alla posta del cuore (minoue sōdan) del quotidiano Yomiuri Shinbun, inaugurata nel 1914. Quante sorprese!
In edicola oggi trovate un omaggio a quest’opera meravigliosa di Igort e un piccolo saggio sul passato torbido e di “squarcio” del Giappone.
E non ultima la personale, immensa gioia, di dividere lo spazio con Tommaso Pincio, uno scrittore, traduttore e intellettuale che ritengo prezioso. Uno dei miei scrittori preferiti in assoluto.
Buona lettura!

Dopo 124 anni, setsubun

Dopo 124 anni, oggi setsubun 節分 è il 2, anziché il 3 di febbraio.
Al di là dello studio di cosa esattamente sia setsubun 節分, quel che resta nella memoria ogni anno, ciò che amano specialmente i bambini, è mame-maki, ovvero l’usanza di gettare fagioli di soia nelle stanze della casa per cacciare il malocchio.
È un grande trambusto, un adulto finge d’essere l’oni, ossia l’orco, indossa una maschera spaventosa spesso disegnata dai bimbi stessi, e i fagioli chiamati fuku-mame , letteralmente «fagioli della fortuna», finiscono ovunque. Li si ritrova anche dopo mesi, in luoghi a dir poco bizzarri.
Durante il precedente trasloco ricordo ne trovammo sotto la lavatrice, nella scatola delle decorazioni natalizie, dietro la libreria, persino in fondo a un cassetto di biancheria.
Come vuole l’usanza del setsubun, anche noi abbiamo spalancato la porta di casa e a gran voce abbiamo strillato: – Fuku wa uchi! Oni wa soto! «Fortuna, dentro! Orchi, fuori!»
Bisogna serrarla subito dopo, la porta, però, affinché i demoni che sono usciti (liberando la casa dal malocchio) non rientrino di nascosto.
da “Tokyo tutto l’anno: Viaggio sentimentale nella grande metropoli” @einaudieditore con illustrazioni di Igort.