「思い出のマーニー」When Marnie Was There

  IMG_0001 - コピーPer prima cosa il giudizio d’un istante, quello formatosi nel momento in cui il film è finito e, trattenendo a stento il pianto, ero ancora davanti al grande schermo cinematografico, nel buio della sala accanto a Ryosuke, con intorno altri sconosciuti vestiti nell’estate, tutti a fissare i titoli di coda che, nei film dello Studio Ghibli, sono accompagnati da disegni di sfondi tratti dalla stessa pellicola. Ebbene, le parole a fior di labbra sono state: 「すごく良かった!」 “È stato bellissimo”.

In questo lungometraggio diretto da 米林宏昌Yonebayashi Hiromasa (1973 Prefettura di Ishikawa) – lo stesso regista di Arietty e membro dello Studio Ghibli dal 1996 – la sceneggiatura ha preso il via dal libro della scrittrice britannica Joan G. Robinson When Marnie Was There. Il romanzo, uscito in Gran Bretagna nel 1967 e mai tradotto in italiano, è di per sè meritevole di lettura e, come gli altri libri della stessa autrice, tratta della mancanza d’amore percepita da una giovane ragazza, del dolore che tale sentimento porta con sè.

  Il titolo rivela più di quanto non riveli la trama vera e propria fino alle ultime battute del film. La storia infatti è forte, sostiene tutto lo svolgimento a tratti spezzettato del film, si dipana lentamente suggerendo ma mai svelando nulla.

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  Essa ruota intorno al personaggio di Anna, una ragazzina che da qualche tempo è cambiata, evita la famiglia e i compagni di scuola, il suo volto si è indurito e sembra non riuscire più a percepire la gioia. La sua madre adottiva, molto ansiosa e protettiva, sia per farla guarire da violenti attacchi d’asma che talvolta la costringono a letto sia per cercare di rendere la figlia più contenta, la manda da una coppia briosa di parenti che vivono in provincia. Anna, che tendenzialmente fatica ormai ad inserirsi in ogni nuovo ambiente, ama solo la solitudine e i disegni che traccia sull’album che si porta sempre appresso. Eppure nella ridente campagna dell’Hokkaidō, dopo alcune iniziali resistenze, grazie all’affetto dei parenti che l’ospiteranno ma soprattutto grazie all’amicizia unica e segreta che stringe con una misteriosa ragazza di nome Marnie, riuscirà pian piano ad aprirsi e riacquisterà la capacità di fidarsi e la gioia di vivere.

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  In Omoide no Mānī le tematiche trattate sono tante.

  Vi è dentro la diversità, affrontata in un modo che non può lasciarmi indifferente. È l’avere in sè sangue straniero, occhi di un colore che non è di tutti gli altri, perchè gli occhi di Anna non sono neri o marroni come quelli degli altri giapponesi intorno a lei. È un senso di esclusione che, come spesso accade, non sono gli altri a percepire o “accusare”, ma proprio chi ne è portatore e che avverte la distanza dall’usuale, dallo standard, dal comune. Anna si sente diversa e ne soffre moltissimo.

  C’è poi il tema dei legami familiari, del perdono. Perchè a volte accadono cose nella vita che ci fanno comportare come non vorremmo e più è l’amore maggiori sono i danni di cui esso è capace e maggiore è anche la difficoltà di dimenticare i torti subiti e perpetuati. Tra tutti è soprattutto la spiegazione di cosa sia la maternità, di quanto essa possa avere forme diverse da quelle più semplici e comuni, perchè, come le cose più importanti in questa vita, essa non ha banalità al suo interno, e di fronte a una domanda che chieda cosa sia essere madre, come sia giusto affrontare questo ruolo, non c’è una sola risposta ma molte.

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 È poi la durezza di una vita vessata da tragedie e dispiaceri… una vita che, nonostante tutto, la si ama e durante la quale non si smette mai di cercare di essere felici. Questa insistenza nella gioia, nell’amore che non sempre è corrisposto, nella ricerca d’una serenità anche minuta che renda più sopportabili cicatrici e nuove ferite, mi ha profondamente commosso, forse perchè anch’io sono stata tanto triste da bambina, certa in fondo di non essere davvero amata, di essere sempre seconda, in dovere di dimostrare più che di essere. Eppure, con una cocciutaggine che a volte mi è sembrata miracolosa, non ho mai smesso di provare e la mia gioia adesso è grande.

 IMG_0006 - コピーIl femminile in Omoide no Mānī è dominante, l’amicizia è nella donna, la rabbia ed il dolore è nella donna, l’amore più profondo è nella donna. L’uomo, nell’economia del testo visivo, non è che una figura di profilo, una macchia in sottofondo che sta a guardare cosa accade a queste giovani che ci sono e sono state, qualcuno che viene a mancare divenendo pura conseguenza cui quelle donne dovranno fare fronte, chi con perizia, chi andando incontro al fallimento. È Anna, scritta in giapponese 杏奈o in katakana アンナa seconda della sfumatura che si dà loro; è Marnie, in katakanaマーニー, i suoi capelli biondi a lungo pettinati, gli occhi d’un azzurro chiarissimo color del cielo a mezzogiorno, figura misteriosa che solo all’ultimo si lascia svelare; è la madre adottiva di Anna che ha una colpa che la ragazza non riesce a superare ma che, al di là dei dubbi di Anna, la ama profondamente.

   Il disegno torna ad esser quello dello Studio Ghibli, che sa dosare dettagli ed essenzialità. Quell’equilibrio che a chi vi si accosta potrebbe sembrare fragile e invece va diritto al proprio punto senza esitazioni.

  Splendide le ambientazioni che abbracciano Sapporo, ma soprattutto la provincia, l’Hokkaidō della vita che va lenta e si fa godere. Commovente lo splendore dei disegni che raccontano una festa di Tanabata del villaggio, le tradizioni fatte di suoni e di oggetti che l’occidente non conosce. Anche visivamente è assolutamente impeccabile.

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  È un film che consiglio senza dubbio.

 Quando uscirà andatelo a vedere al cinema… e non lo guardate piratato. Acquistatelo in dvd, regalatelo agli amici. Le cose belle vanno protette o finiranno per soccombere. Andare al cinema a vedere un film è comunicare a chi gestisce le sale e la distribuzione che quel film vale la pena d’essere promosso e sostenuto. Lo Studio Ghibli merita questo tipo di onestà.

♪ Fine On The Outside / プリシラ・アーンスタジオジブリ映画『思い出のマーニー』主題歌

 

 *Le immagini sono tutte tratte dal libricino che viene venduto nei cinema con l’uscita delle nuove pellicole o e qui sopra trovate la splendida canzone che accompagna il film.
 **Ho volutamente eliminato anche in questo caso dati troppo precisi della trama onde evitare di togliervi il piacere della visione. Gli spoiler non sono mai apprezzabili.

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«Se New York è una mela, allora Tokyo è un melograno»

  Se New York è una mela, allora Tokyo è un melograno.

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  Carmelita se lo ripete ogni volta che qualcuno le chiede com’è la città che, in un’afosa mattina di dieci anni fa, l’ha adottata.
Melograno, sì lo sa che è l’albero e non il frutto, ma non le importa, suona molto meglio così.
A volte le chiedono «Perché?». A volte danno semplicemente per scontato che una risposta non ci sia. Ma quando glielo chiedono lei sta zitta e si limita a sorridere.

  Com’è Tokyo?

  Se New York è una mela, allora Tokyo è un melograno. 

 Perché?

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  Perché snocciola chicchi d’un rosso succoso a ogni cambio della metro. Tanti piccoli semi, ognuno con una forma simile eppure distinta, incastrati tra branchie di legno. Sono città nella città, collegate da una lunga collana di rotaie. Basta spaccare il guscio per scoprirle, una a una, separate da invisibili linee di confine.

  Perché i chicchi di melograno hanno una dolcezza prudente che emerge in un tutt’uno con l’amaro del seme. È il sapore legnoso degli ammassi di insegne che coloratissime delimitano le strade e i marciapiedi, delle voci che gridano «Benvenuti!» per invogliare i clienti a entrare nei ristoranti, delle macchine in transito e dell’umanità di passaggio. Ed è anche tutto ciò che lo circonda: nostalgiche file di casette a due piani, piccoli campi e orticelli comunali, verde che fa capolino dai giardini delle ville. Tutto insieme, contemporaneamente, nella bocca.

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  Perché raggrumata intorno alle stazioni c’è la Tokyo attiva ed eccitata, affamata di cose e di consumi. Allontanandosi dalle strade principali, invece, si comincia a respirare la Tokyo sonnacchiosa, quella che sa che la sopravvivenza sta nell’equilibrio. Tra ciò che grida e ciò che tace.

  Ma soprattutto e Sopra a Ogni Cosa perché, se non hai voglia d’essere trovato, nessuno mai ti troverà. E nella vastità della sua superficie orizzontale e verticale a Tokyo puoi lasciare tutto quello di cui ti vuoi liberare.

  Estratto da Tokyo Orizzontale (Piemme, 2014) pp. 64-65