Di Hōrai o delle cose di cui non si immagina più l’assenza

È shinkirō 蜃気楼, il “miraggio”, l’effetto “Fata Morgana”, che muta la visione dell’orizzonte.
L’inversione termica che si crea nell’aria, ma un tempo una “atmosfera fatta non d’aria ma di fantasmi, generazioni d’anime a quintilioni”, che si inalano ed entrano nel sangue – come scriveva in “Kwaidan” (Ombre giapponesi, Adelphi) Lafcadio Hearn.
 
In antichi testi cinesi, si spiega come all’orizzonte si sprigionasse la visione di Hōrai, la città sacra che – una volta saputa, immaginata, a suo modo vista – mi torna alla mente ogni volta che l’occhio va lì, sulla linea così traballante e imprecisa, che pare disegnata da un ragazzino e una matita.
 Ecco, dopo aver letto di Hōrai, non c’è volta che non guardi l’orizzonte a quella maniera. E cerchi i portali, i “tetti ricurvi a mezzaluna”, il “Palazzo del Re Drago“ della leggenda.
 
Chissà a quanti di voi è capitato.
Di conoscere la gioia di uno spazio che neppure sapevate esisteva e di cui però, nel crearlo, nel frequentarlo, non riuscite più a immaginarne l’assenza.
 Così Hōrai, così una nuova persona nella propria vita.
 Le mie giornate si aprono ultimamente a questa maniera. Con questo stupore tutto piegato ai passi – nelle lunghissime passeggiate che faccio per le stradine di Kamakura, lungo l’oceano, sulla spiaggia e oltre gli antichi ingressi che si arrampicano sulla montagna – e alla parola.
 Cammino e ascolto, cammino e parlo.
 
 Ci sono persone che hanno il potere di allargarti la vita. Anche una vita “strettissima” come la mia, in cui pare non ci sia spazio per nulla, in cui tutto debba essere piegato all’efficienza, ai libri, allo studio, ai bambini, alla famiglia. E invece, ecco che tutto cambia.
 
Provo un amore profondo per l’essere umano che è nelle persone – pochissime, importantissime – che frequento. Di queste una, recente e già tanto importante, con cui adoro tacere (in tutto il tempo trascorso tra un dialogo e un altro, un tempo che si riempie tuttavia dell’eco di quanto ci si dice) e parlare, in un dialogo che ha un luogo e un tempo diverso.
Vocali – soprattutto vocali – che rispettano il fuso orario, di ognuno i tempi, la cadenza del parlato, il rimuginare velocissimo o lento.
 
Vorrei consigliarlo a tutti, per la gioia profonda che porta.
 Trovate una persona cara, anche lontana, qualcuno che – parlando – vi allarghi la vita.
 Ascoltatela raccontare le sue storie, senza l’ansia dell’interruzione, della battuta sagace. Raccontatele a vostra volta le storie che vi hanno reso le persone che siete, il desiderio di tornare in un luogo del cuore o in uno che vi ha fatto male, magari camminando per le strade della vostra città, dite come vi sentite, ricordi d’infanzia, il verde preciso che avete di fronte.
 
 Non guardate l’ora. Impiegherete tre minuti, poi sette minuti, quindici, trenta. Potreste arrivare anche a un vocale di un’ora. E sarà una bellissima ora.
 
 E ciò che una volta non c’era – come la visione della città sacra di Hōrai all’orizzonte -, d’un tratto vi parrà impossibile non ci fosse prima.
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*In fotografia (JR) il Castello Ōno nella prefettura di Fukui, chiamato anche “Laputa” per l’effetto suggestivo di sospensione dovuto alla nebbia che si crea nella zona. E Ishida Tetsuya.

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