La commemorazione dei morti è la celebrazione dei vivi.

La commemorazione dei morti è la celebrazione dei vivi.
L’ho capito esplorando negli anni i tanti modi che hanno i giapponesi di curare il ricordo dei propri affetti, l’idea straordinaria per cui non vi sia una priorità della vita sulla morte, ma un’accettazione tanto piena da considerare la seconda come acqua da versare abbondante sulla prima, sole per farla rigogliosa, terra nutriente per sostenerne la crescita.
Questo è l’altarino dedicato alla Gigia, la nostra cagnolina Welsh Corgi adottata in un canile di Tōkyō tant tempo fa, e morta circa sei anni dopo.
Mia suocera lo cura da allora. Le sue ceneri, il collarino tutto consumato in cima, giochini che amava, oggetti acquistati per richiamarne la memoria, cibo gustoso in scatoletta persino, lì a sinistra.
Il ricordo non serve al futuro, mi dico guardando ogni volta questo angolo del soggiorno dei miei suoceri. Tutto sparisce nel futuro, anche il ricordo. Allora, esso serve a conservare piuttosto dentro di sé quell’amore provato. Perché l’amore rende migliori davvero, non solo per l’oggetto diretto di quel sentimento, ma in genere proprio.
L’empatia, del resto, è secondo me “amore immaginato”.
Per questo guardo mia suocera e penso sia intatto dentro di lei l’amore per Gigia. E questo non solo la consola ma la rende la persona meravigliosa che è.

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