La forma delle cose

  “Mentre cammina tra i trucioli di luce che attraversano i festoni e ruzzolano sul pavimento, a Marcel torna in mente all’improvviso una memoria di bambino, quando con sua madre inseguiva i riflessi luminosi sulle pareti della casa, sui muriccioli delle villette del paesino, e giocavano insieme a indovinare la forma delle macchie.
Lei allungava il dito, lo avvicinava alle tremule pepite e si voltava allegra verso il figlio.

 «Vieni Marcel, guarda qui» lo esortava. «Non ti sembra l’Argentina questa?»

 Adorava soprattutto quanto suggerisse la silhouette di una nazione, le sembrava sorprendente che luoghi traboccanti di storie si riducessero su una cartina a una semplice linea, a un disegno che non avrebbe significato nulla senza un nome. A casa, i sabati e le domeniche in cui infuriava un temporale o il freddo ghiacciava d’una crosticina opaca il fiume, la madre tirava fuori dal cassetto i modellini di carta che lei stessa aveva ritagliato con il profilo dei paesi e li sventolava a turno sotto al naso di Marcel.

 «Allora?» domandava con un risolino di sfida. «Mi sai dire questo dove è? Perlomeno il continente?»

  Il bambino prendeva tra le mani le lamelle di carta, ne studiava con scrupolosa attenzione il perimetro e i bordi, chiudeva un attimo gli occhi in una posa concentrata e poi, spalancandoli di botto, eccitato gridava: «È il Belgio!», «È la Thailandia!».
C’era l’Islanda compatta e frastagliata, Cuba che s’allunga come un pesce verso le profondità del mare, il Paraguay dalla forma di un neonato colto di profilo e avvoltolato in una stoffa. Ci si divertivano anche quando uscivano di casa e non avevano a disposizione che chiazze di benzina sull’asfalto, lucide pietruzze sul sagrato della chiesa, sfilacciate nuvole nel cielo. Ogni cosa partecipava al loro gioco.

 Chissà quale era stato l’ultimo paese rinvenuto su una corteccia o nell’ombra proiettata da un lampione. Chissà quando avevano smesso di giocarci. Chissà quale era stato l’ultimo paese rinvenuto su una corteccia o nell’ombra proiettata da un lampione. Chissà quando avevano smesso di giocarci.”

da Non oso dire la gioia di Laura Imai Messina, Piemme, 2018

 

 

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