Lo stavi scrivendo per te

In questi ultimi mesi ho ricevuto centinaia di lettere e commenti e messaggi, sconosciuti che mi raccontavano la perdita di una madre, di un padre, di una nonna, di un figlio, di un’amica importante, lo sconvolgimento del paesaggio quotidiano, l’anima che veniva un poco a mancare.

Mi ringraziavano, infine, rendendomi fiera di un’idea se vuoi anche banale, ovvero che esista nel ricordo (che prende per mano l’immaginazione) una possibilità concreta di comunicare con chi non c’è più.
Che è donare la parola, l’amore. Più ancora che riceverlo.
Che non serve per forza una risposta alle nostre domande.
Che serve anzi ricrearla da sé quella risposta. Perché se abbiamo amato abbastanza qualcuno, vuol dire che quel qualcuno lo sapevamo anche un poco a memoria.

E paio ridicola forse, ma per la prima volta nella mia vita rileggo un libro che ho scritto – anche se a pezzi, perché di seguito io non riesco a rileggermi se non mentre scrivo – e cerco lo stesso conforto che quelle centinaia di persone mi hanno detto di aver trovato nelle pagine di Quel che affidiamo al vento. Cerco mio padre.

Quanto ironica può essere la vita – mi dico infine. Vedi Laura? Questo libro, in fondo, non lo sapevi, ma lo stavi scrivendo anche per te. Per tenerti per mano più avanti, quando fosse arrivato questo momento.

E mi faccio persino un po’ tenerezza.

Per un po’ non ne parlerò, ma tenevo a ringraziarvi dei pensieri e della delicatezza in queste ultime settimane.

Il silenzio è effettivamente la forma migliore di vicinanza secondo me. Grazie di cuore.

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