Si finisce per diventare ciò che si guarda.

Si finisce per diventare ciò che si guarda.
L’occhio registra. Il corpo lo memorizza. La mente lo ripercorre anche senza averlo davanti.
È quando non serve intenzione che le cose diventano nostre. È quando qualcuno è gentile senza volerlo che è gentile davvero. Sincero perché fa parte di sé. Innamorato perché non ne può fare a meno.
La verità, mi pare, è distinta dall’intenzione.
E il Fuji è ormai parte di ogni ragionamento.
L’ho inseguito per anni tra i palazzi di Tōkyō. Mi arrampicavo su ponti, salivo grattacieli, individuavo zone collinari pur di vederlo.
E ora scendo in spiaggia. Cammino uno o due minuti, ed eccolo qui.
Splendido, maestoso e pacato, pur nella possibilità concreta di svegliarsi ed eruttare da un momento all’altro.
Proprio come credevano un tempo i giapponesi, una divinità.
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*Una fotografia scattata due giorni fa.

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