«Tōkyō tutto l’anno – Viaggio sentimentale nella grande metropoli»

 

«Ogni mese in giapponese ha due nomi, uno che segue un ordine numerale (1月, 2月 etc.) e un altro, più antico, che si appiglia alla saggezza della tradizione e chiama fiori, frutti, l’aspetto del cielo oppure concetti (satsuki 皐月 maggio è ‘il mese delle azalee’, minazuki 水無月 giugno ‘il mese senz’acqua’, fuzugi 文月 luglio è ‘il mese della letteratura’, kannazuki 神無月 ottobre è “il mese senza dei” etc.). Il tempo e le stagioni sono al centro di ogni discorso nel Sol Levante e trasformano profondamente la percezione del quotidiano così come non accade in nessun altro paese nel mondo.

Seguendo parallelamente i rituali precisi che ogni tempo impone e insieme dona, in questo libro si passeggia per i quartieri di Tōkyō, un paio almeno dei quali abbinati di volta in volta a un mese, perché magari vi si svolge un famoso matsuri (festival tradizionale), perché particolarmente suggestivi durante la fioritura dei sakura, o perché le ortensie, durante la stagione delle piogge, sono spettacolari.

Accade ad esempio ad ottobre a Jimbōchō, il quartiere dei libri, quando si tiene un grande evento che coinvolge le più di 160 librerie della zona, o a gennaio a Yoyogi quando, nei primi tre giorni del nuovo anno, si dice che circa tre milioni di persone si rechino nel suo santuario per la prima preghiera dell’anno. Oppure ancora ad agosto, quando è assordante il frinire delle cicale e Asagaya si riempie di tipici festoni colorati per Tanabata, la Festa delle Stelle nella cui notte, si dice, i desideri scritti e attaccati a ramoscelli di bambù verranno esauditi. Ad aprile, poi, basta andare a Naka-meguro e Takaido, per vederli esplodere di rosa quando in quei dieci giorni di grazia che oscillano tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, i sakura in fiore raccolgono come sotto un tetto di molle bellezza sogni e aspirazioni dei giapponesi, e su ampi teli verdi o azzurri consumano i cibi tipici della stagione, spalancano scatole del bentō, bevono birra e liquore umeshu, sognano l’inizio della vita che parte tutta in aprile.

A maggio invece in Giappone si raccoglie il tè, i negozietti ne espongono le varietà, fotografie delle verdissime piantagioni, offrendo su piccoli vassoi dei piccoli assaggi di tè verde, maccha; si gustano tortine di riso avvolte in foglie di quercia, kashiwamochi che sono mochi ripieni di marmellata di fagioli rossi; si parla anche di una malattia di maggio, gogatsubyō五月病 letteralmente, perché aprile è il mese degli inizi e giunge a maggio il conto dell’impegno e della fatica. Va quindi più lento, vi cade dentro la Festa dei Bambini e allora grandi carpe colorate, come sgargianti vessilli, sventolano sui balconi, alle finestre, attorcigliati alle radici della Torre di Tōkyō. Ma maggio è anche il mese del matsuri più importante di Asakusa, culla della cultura tradizionale dell’antica Edo (antico nome di Tōkyō). E qui, in questo luogo di storia, inizia la quinta passeggiata del libro. Camminando per Asakusa, si scopre che come sotto le sue nuove spoglie riposi il cuore pulsante di Edo che si narra Tokugawa Ieyasu, shōgun vissuto dal 1543 al 1616, progettò come un luogo-crocevia di persone di diverse ispirazioni. Era proprio a Venezia che egli pensava quando, intorno al Castello di Edo, promosse la crescita di quella città che sarebbe diventata Tōkyō.

E da lì interrogare la storia delle strade, tradizioni dei santuari, botteghe degli artigiani, dettagli su cui l’occhio del turista non si sofferma, ma che suggeriscono il passato lì dove imperversa il presente.

Il calendario diviene in questa guida un appiglio, il che ovviamente non rende visitabile quella zona solo nel mese abbinato, anche perché i riferimenti incrociati restano disseminati nel testo (Jindaiji ad esempio, narrata a dicembre, a gennaio si fa protagonista di un bellissimo evento in cui si vendono tonde e coloratissime bambole daruma o Kōenji, narrata a febbraio per la sua cultura underground, i negozietti di abiti vintage e la cultura lenta delle sale da tè, si anima di musica e danze in estate) ma intreccia i luoghi con il mutare delle stagioni che tanto importanti sono in Giappone.

È una scusa, piuttosto, per spiegare cosa accade tra le pieghe di quel mese, tradizioni che sono in corso e che il turista, poco consapevole o poco informato, tende a perdersi. Scrivere una guida su Tōkyō significa raccontare la città ma anche narrarne l’umore, e un libro che la descriva senza soffermarsi su quei fittissimi dettagli che sono tutt’altro che marginali per la vita degli abitanti, significa perdere buona parte del fascino del luogo e del paese tutto, che intorno a quei rituali si è costruito e che continua a rispettare, a dispetto della globalizzazione che investe ogni luogo del mondo.

Il libro insiste quindi da una parte sulle caratteristiche della tradizione, sul modo in cui si svolge la vita in quel particolare mese, e dall’altra su informazioni precise sulle zone attraversate, camminate, osservate con gli occhi dell’oggi e dello ieri, come ad esempio il raccordo tra l’elegantissimo quartiere di Omotesandō e la chiassosa Shibuya, percorrendo Cat Street, sotto cui pochi sanno scorrere uno dei tantissimi fiumi sepolti che si stanno cercando di riportare alla luce negli ultimi anni, e di cui restano testimonianze in piccoli ponti sparsi per Tōkyō, in targhe e massi scolpiti. O ancora il Museo dei Parassiti a Meguro, l’unico al mondo, in cui osservare la vita a nostra insaputa; oppure il Meguro Gajoen, ora un fastosissimo albergo, cui si ispirò Miyazaki per il lungometraggio di animazione La città incantata (che gli valse l’Orso d’Oro alla Carriera a Berlino), o la scalinata a cento gradini visitabile solo poche volte in un anno.

O ancora scoprire, attraverso la spiegazione dei kanji del suo nome, come in quello stesso quartiere, Meguro (目黒 letteralmente ‘occhi neri’), all’inizio del secolo vi sorgesse una frequentatissima pista da corsa di cavalli, come testimoniano anche certe curve improvvise dell’abitato, il nome delle fermate dell’autobus e certe statue che ritraggono cavalli. A lungo, dopo il suo trasferimento in un’altra zona di Tōkyō (Tama), la pista dismessa fu luogo di gioco di bambini, che dovevano probabilmente emulare lo sforzo dei cavalli, lo slancio nella corsa, l’aria impettita e concentratissima dei fantini, le urla concitate della folla. Così, raccontando il quartiere, ci si può soffermare su uno dei tanti esempi di poetica inutilità costituito dai luoghi abbandonati – gli haikyo– di cui in Giappone i cataloghi fotografici sono esponenzialmente aumentati negli ultimi anni: scatti che raccontano le rovine del contemporaneo e di questo rapporto paradossale tra passato e presente mostrano i risvolti magici. Il tempo lì si fa materiale, l’intervento umano pare annullarsi. L’essere sganciati dalla funzionalità pratica, dall’utile economico, rende gli oggetti qualcosa di più, qualcosa di diverso ed ulteriore.

Ricostruendo la storia dei quartieri, in una disamina puntuale ma mai fredda di edifici, strade e svincoli tranviari, si svolge il racconto di questo libro sulla città che ospiterà le prossime Olimpiadi, capitale dell’”Estremo Occidente”.

Descrivere stazioni sepolte, fantasma, sfruttate solo otto mesi come sotto Shimbashi, o il campus dell’International Christian University il cui lunghissimo ingresso alberato di ciliegi servì durante la Seconda Guerra Mondiale come pista di atterraggio di aerei e una collinetta al suo interno è sfondo d’apertura del romanzo di Murakami Haruki Sotto il segno della pecora. Oppure recarsi in una pasticceria delle tantissime a Jiyūgaoka (chiamato proprio “il quartiere delle pasticcerie) sulla Linea Keiō, il 16 di giugno, che è kashō no hi 嘉祥の日 ovvero il “giorno dei dolci giapponesi”, perché secondo una antica leggenda venivano offerti 16 dolci tradizionali agli dei per buon auspicio.

Non mancano nemmeno i riferimenti a luoghi amati da illustri scrittori, da Murakami Haruki al venerato Dazai Osamu che, dal ponte di ferro di Mitaka, quartiere in cui sorge il Museo dello Studio Ghibli, osservava il monte Fuji e la città di Tōkyō che andava trasformandosi rapidamente.

Le guide di solito lanciano riferimenti vaghi, minuscoli al mutamento delle stagioni, segnalano giusto gli eventi, ma si perdono l’atmosfera generale che si respira. Altro è invece visualizzarli tutti compatti, osservare i cibi esposti nelle vetrine o sui banchetti dei negozi, o anche soltanto altri confezioni ed esposti sugli scaffali dei kombini. Si comprende così l’umore del mese, il mutare delle stagioni che tanto regolano la cultura dei giapponesi. E se il festival, la magnifica fioritura dei ciliegi o l’arrossarsi suggestivo degli aceri, resta un appiglio, tutti quegli elementi mostrati durante la passeggiata, una volta introiettati, renderanno l’occhio del visitatore sensibile ai colori, attento alle pietanze disponibili solo quel preciso mese, capace di coglierli ovunque, in qualunque altra zona di Tōkyō e, più in generale, del Giappone.

La forza di questo libro sta nella narrazione poetica ma piena di informazioni, nella presa diretta (vi abito da quindici anni, Tōkyō è la mia casa) e nelle fonti che sono al 90% in giapponese, a differenza di quasi tutte le altre guide in commercio che tendono a sfruttare materiali scritti in lingue occidentali e finendo quindi per presentare più o meno gli stessi elementi. Gli scaffali delle librerie giapponesi traboccano del resto di libri dedicati a Tōkyō, ne esistono a centinaia. Alcune guide mettono al centro della narrazione le sue tantissime salite e discese, altre i corsi d’acqua, altre ancora la sovrapposizione tra le stampe di Hiroshige e il paesaggio contemporaneo, o giardini e parchi di cui è piena, le botteghe artigianali; saggi ne analizzano la cultura underground, la ricaduta sociale che ha avuto lo sviluppo delle decine di linee ferroviarie, le regole non scritte vigenti tra tokyoti. E così via.

Sarebbe oltretutto godibile non solo come guida ma anche come libro in sé, proprio grazie a questa doppia traccia, che insegue la storia dei quartieri e gli elementi stagionali che possiede ogni mese in Giappone.»

*PROPOSAL inviato a maggio 2018 alla casa editrice EINAUDI ovvero, da dove è nato “Tokyo tutto l’anno”. 

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